Care/i colleghe/i
come sapete, negli ultimi mesi, è stata sollevata da più parti la questione delle specifiche competenze degli psicoterapeuti rispetto a quelle degli psicologi non psicoterapeuti. La SITCC, tramite le decisioni del proprio Direttivo, ha preso posizione, coerentemente con il mandato statutario, in difesa della psicoterapia e quindi, in definitiva, di quanti necessitano di cure.
A questo proposito, è stato pubblicato nella Newsletter, (numero di Gennaio 2023,) della Associazione Italiana di Psicologia il
parere "Ambiti distintivi e specifici dell’attività professionale psicologica, con particolare riferimento all’ambito clinico, e della psicoterapia" (vedi allegato),
redatto su richiesta della Commissione Atti Tipici del Consiglio Nazionale Ordini degli Psicologi,
da un autorevole gruppo di consulenza composto
dal Presidente e Segretario scientifico dell’Associazione Italiana di Psicologia,
dai Presidenti del Collegio dei professori e ricercatori di psicologia clinica e del Collegio dei professori e ricercatori di psicologia dinamica
dal Presidente della Società per la Ricerca in Psicoterapia-Italy Area Group (SPR-IAG).
Questo Parere per il momento è stato diffuso solo dall’Associazione Italiana di Psicologia ma non ancora dal Consiglio Nazionale Ordini degli Psicologi.
Il documento è di particolare interesse per chi, come noi, ritiene che la cura delle persone sia il valore alla base della propria professione.
L’argomento sarà ripreso e discusso nella tavola rotonda di apertura del prossimo Congresso Nazionale della SITCC che si terrà a Bari dal 21 al 24 settembre 2023.
Buona lettura,
Francesco Mancini
Ambiti distintivi e specifici dell’attività professionale psicologica, con particolare riferimento all’ambito clinico, e della psicoterapia.
Parere del gruppo di consulenza della Commissione Atti Tipici del CNOP
Oggetto
La Commissione Atti Tipici del CNOP intende “definire e declinare le attività di prevenzione, abilitazione, riabilitazione e sostegno in obiettivi, metodologia, procedure e azioni nella psicologia con particolare attenzione all’ambito clinico, e rispetto alle stesse dimensioni, declinate per la psicoterapia.” A tal fine ha attivato un gruppo di consulenza composto dal Presidente e Segretario scientifico dell’AIP, dai Presidenti del Collegio dei professori e ricercatori di psicologia clinica e del Collegio dei professori e ricercatori di psicologia dinamica e dal Presidente della Società per la Ricerca in Psicoterapia-Italy Area Group (SPR-IAG).
Il presente documento è il testo definitivo prodotto dal gruppo di lavoro in risposta alla richiesta della Commissione Atti Tipici. Il documento raccoglie le richieste di chiarimento e integrazione espresse dalla Commissione a seguito della lettura ad una prima versione del testo.
La richiesta della Commissione Atti Tipici implica la necessità di tenere in conto tre livelli di analisi. Infatti, se è vero che il focus della richiesta è la distinzione tra ambito psicologico-clinico e psicoterapia, è altrettanto evidente che le “attività di prevenzione, abilitazione, riabilitazione e sostegno” qualificano per legge la professione di psicologo nel suo complesso, indipendentemente dall’ambito di intervento. Coerentemente con tale articolazione, la Commissione chiarisce che la definizione/declinazione delle attività vada intesa come prioritariamente (“con particolare attenzione all’…”)– dunque non esclusivamente – riferita all’ambito clinico.
La richiesta della Commissione comporta dunque la necessità di una triplice distinzione, utile a differenziare:
1. la psicologia dalle altre forme di prassi professionale non psicologiche e non regolamentate (es. counselor, mental coach, pedagogista clinico, sociologo clinico, consulente filosofico, ecc.)
2. la psicologia in ambito clinico dagli altri ambiti della professione psicologica (educativa, scolastica, sociale, di comunità, giuridica, ecc.)
3. la psicologia in ambito clinico (esercitabile da qualunque abilitato) dalla psicoterapia (per esercitare la quale è necessaria una specializzazione post-lauream in base alle norme vigenti).
Premessa metodologica
La precisazione dei confini di psicologia e psicoterapia va pensata in ragione del fatto che deve servire alle parti interessate (professionisti, Ordini, agenzie istituzionali) per regolare le prassi professionali in modo pubblico ed attendibile. E’ dunque necessario che le distinzioni tra psicologia, ambito clinico e psicoterapia, oltre ad essere valide dal punto di vista teorico-empirico, siano applicabili ai casi concreti - vale a dire, permettano di rispondere a quesiti del tipo: la condotta professionale x, in ragione delle sue caratteristiche ostensibili e documentabili a, b, c, rientra nelle funzioni che la legge considera di esclusiva pertinenza dello psicologo? Concerne l’ambito clinico dell’agire di tale professionista? E’ un atto che rientra in quelli che la legge riserva allo psicoterapeuta?
Non è dunque sufficiente operare distinzioni concettuali teoricamente fondate; è anche necessario che tali distinzioni siano ancorate a riscontri oggettivabili il riferimento ai quali metta gli attori implicati nelle condizioni di interpretare e classificare i casi concreti. Per inciso, tale ancoraggio è reso di difficile realizzazione dal carattere contingente dell’agire professionale – vale a dire dal fatto che il significato dell’azione del professionista non risiede esclusivamente nelle operazioni che la
sostanziano (ad es. condurre un colloquio, somministrare un test) ma da come tali operazioni interagiscono e si combinano tra loro entro ed in funzione del contesto determinato dalla richiesta dell’utente e dalle condizioni organizzative ed istituzionali dell’intervento.
Scenario
In questo paragrafo si esplicitano gli elementi di contesto che il gruppo di lavoro ha tenuto in conto nel formulare il proprio parere.
Contesto normativo
La riflessione su confini e articolazione della professione psicologica deve necessariamente tenere conto della specificità dello scenario normativo che regola la professione nel nostro Paese. Come sappiamo, la Legge 56 istituisce la figura professionale dello psicologo, senza ulteriore differenziazione. In Italia, dunque, lo psicologo è un professionista unitario, abilitato ad esercitare in qualsiasi ambito di intervento, in ragione di qualsiasi problema/richiesta (ad eccezione della psicoterapia, il cui esercizio è vincolato al possesso del livello di formazione specialistica).
La indifferenziazione normativa della figura professionale riflette la concezione (e la pratica) della professione prevalente nel contesto italiano al momento della formulazione della legge 56/89. In quel periodo la professione psicologica era vista come sostanziata da metodi e tecniche di intervento di applicabilità generale, trasversali ai diversi settori di intervento.
Profilo funzionale della professione
Oggi va riconosciuto che, se è vero che la dimensione dominio-generale del profilo funzionale dello psicologo è una caratteristica propria della professione, quest’ultima non si esaurisce in essa. La professione psicologica, infatti, si qualifica anche per altre due dimensioni, ambito-specifiche, necessarie per la modulazione/finalizzazione dell’azione professionale in ragione del contesto/fenomeni/problemi affrontati:
• le competenze tecniche settoriali – relative alla specificità dei problemi/fenomeni su cui si interviene – ad esempio: un colloquio motivazionale ed un colloquio di valutazione psicodiagnostica condividono aspetti metodologici e tecnici (ad es. i modelli di interpretazione della domanda) ma richiedono criteri di conduzione differenti, in ragione del contesto in cui e in funzione del quale si esercitano (scopi, condizioni organizzative)
• Le competenze di interfaccia, relative alla conoscenza delle cornici organizzativo- istituzionali dell’intervento (ad es. norme, standard, linee di sviluppo, modelli e dinamiche organizzative, tempistiche) – ad esempio: uno psicologo che intende operare nel contesto giuridico ha necessità di conoscere gli standard qualificanti i testi peritali, le procedure in cui si inseriscono, il modo con cui sono interpretati ed utilizzati dai committenti, le implicazioni ad essi potenzialmente associati.
Si può ragionevolmente ipotizzare che, rispetto alla fine degli anni ’80, il ruolo delle competenze dominio-specifiche entro la funzione psicologica sia aumentato– e continui ad aumentare – rispetto alla componente generale, come conseguenza della progressiva differenziazione dei sistemi sociali, istituzionali e produttivi.
Da un punto di vista complementare, è opportuno osservare che il rilievo delle competenze dominio-specifiche si rifletta ed al contempo venga ulteriormente alimentato dall’architettura della formazione universitaria in psicologia. La larghissima maggioranza dei corsi di laurea in psicologia condividono la struttura che combina una fase generalista (segmento triennale) ed una fase di differenziazione settoriale (segmento magistrale). La quasi totalità dei corsi di laurea magistrale italiani sono ancorati ad un ambito di intervento (salute, clinica, lavoro, educazione, comunità), finalizzandosi così in modo prioritario alla promozione di conoscenze e competenze dominio- specifiche.
Implicazioni
I due elementi di contesto richiamati sopra sono in relazione dialettica tra loro. Da un lato, la norma delinea la professione dello psicologo come un unicum; dall’altro, sotto la spinta della progressiva differenziazione dei sistemi sociali, la professione psicologica (ricorsivamente con il sistema della formazione accademica alla sua base) si va sempre più settorializzando. Ambedue questi elementi sono dati strutturali non eludibili e non eliminabili che richiedono dunque di essere ricondotti a sintesi.
Per fare ciò è utile valorizzare l’articolazione tra i due livelli del sistema normativo che regola la professione psicologica – il dispositivo di legge (56/89) e la norma deontologica. Di seguito si precisano i termini di tale articolazione.
a) Lo psicologo abilitato ha legittimità ad operare in qualsiasi ambito di intervento. Ciò significa che “psicologo clinico” è un concetto cui non corrisponde un profilo giuridico: per la legge italiana esiste soltanto lo psicologo, senza ulteriori specificazioni. Piuttosto che di psicologo clinico, è dunque opportuno riferirsi alla psicologia clinica (così come alla psicologia scolastica, giuridica, dello sport, del turismo), intendendo con tale termine uno specifico ambito settoriale di esercizio della professione di psicologo. In breve, non esiste lo psicologo clinico ma lo psicologo operante nell’ambito psicologico clinico.
b) La specificazione dell’ambito di intervento ha comunque rilievo, come conseguenza del combinarsi della norma deontologica e della progressiva differenziazione settoriale della professione. La norma deontologica vincola il professionista psicologo ad operare esclusivamente entro gli ambiti per i quali possiede le necessarie competenze. D’altra parte, come detto, la differenziazione settoriale comporta che una quota (sempre più) rilevante di competenze sia dominio-specifiche. Di conseguenza, la deontologia rende salienti le differenze tra i settori dell’intervento, come conseguenza dei differenti profili funzionali di competenza ad essi associati.
Da questo punto di vista, la professione psicologica si configura similmente a quella medica, differenziandosi da quella ingegneristica. Sappiamo infatti che la legge non preclude al medico abilitato la facoltà di intervenire su qualsiasi tipo di problema relativo alla salute; il medico, tuttavia, sottostà alla prescrizione deontologica di operare “in scienza e coscienza”, vale a dire esclusivamente nel perimetro definito dalle competenze in suo possesso. Al contrario, l’abilitazione dell’ingegnere non è generale, ma settoriale: ogni ingegnere, in virtù della classe di laurea acquisita, si abilita in un settore di esercizio della professione. La settorializzazione è quindi, in questo caso, stabilita a livello di legge, piuttosto che deontologico.
In sintesi, l’allargamento del ragionamento alla norma deontologica porta a concludere - in ciò in piena coerenza con la richiesta “tridimensionale” della Commissione Atti Tipici – che sia utile integrare le due differenziazioni “classiche” - professione psicologica vs prassi non psicologiche e prassi psicologiche non specialistiche vs psicoterapia - con una terza differenziazione “orizzontale”, interna alla professione psicologica, tra gli ambiti di intervento, cogente dal punto di vista deontologico.
La professione psicologica
La distinzione tra professione psicologica e prassi professionali non psicologiche è oggetto di precedenti documenti dell’Ordine, cui rimandiamo per una trattazione approfondita. In modo sistematico, tali documenti fondano e derivano la specificità della professione psicologica dal suo ancoraggio alla scienza psicologica. L’azione dello psicologo nei diversi ambiti di intervento, tra cui quello clinico, è basata su teorie psicologiche che possono essere differenziate nei metodi e nelle tecniche (psicoanalitiche, cognitivo-comportamentali, sistemiche, socio-cognitive, ecc.) ma hanno in comune lo studio scientifico della mente individuale e di gruppo, e il rapporto fra le
dimensioni intrapsichica, interpersonale e sociale, tra soggettività, intersoggettività e relazione. La scienza psicologica ha basi teoriche e culturali specifiche ed è a queste che la psicologia professionale fa riferimento.
Tale legame con i fondamenti comuni della scienza psicologica distingue lo psicologo operante in ambito clinico non solo dal counselor e dal pedagogista clinico, ma anche dal clinico medico e dal neuroscienziato che studia i fondamenti della mente (allo stesso modo con cui distingue lo psicologo operante in ambito sportivo dal mental coach, lo psicologo operante nelle organizzazioni dalle altre figure consulenziali attive in tale contesto, lo psicologo operante in ambito scolastico dal pedagogista, ecc.).
Il corso di studi previsto dalla laurea triennale e poi dal biennio magistrale assicura allo psicologo tale fondamento comune e peculiare che la formazione universitaria di pedagogisti, medici e neuroscienziati non contempla: il loro intervento si basa dunque su altri presupposti scientifici e relativi metodi. Per inciso, vi è dunque una specificità della psicologia clinica rispetto alla clinica medica con cui si integra in un sistema di cura sempre più multi ed interdisciplinare (ed in prospettiva: transdisciplinare), nel rispetto del fondamentale approccio biopsicosociale che caratterizza i moderni sistemi di salute.
L’ambito psicologico-clinico
Background
L’ambito psicologico-clinico è stato oggetto di diverse definizioni, sia a livello internazionale che nazionale.
Secondo la Divisione 12 dell’American Psychological Association:
la psicologia clinica mira allo studio scientifico – integrando scienza sociale, teoria e conoscenza clinica - e alle applicazioni della psicologia in merito alla comprensione, prevenzione e intervento riguardo le problematiche psicologiche stressogene e disfunzionali, e alla promozione e al mantenimento del benessere psicologico.
Più specificamente sul piano applicativo, l’APA considera la psicologia clinica come
la specialità psicologica che fornisce assistenza sanitaria mentale e comportamentale continua e completa a individui, coppie, famiglie e gruppi; consulenza ad agenzie sociali e di comunità; formazione, istruzione e supervisione; e pratica basata sulla ricerca scientifica. È una specialità che affronta un'ampia gamma di problemi di salute mentale e comportamentale, caratterizzata da completezza e integrazione di conoscenze e competenze di diverse discipline all'interno e all'esterno della psicologia vera e propria1.
La declinazione delle attività clinico-psicologiche nel contesto italiano è anche espressa dal testo, recentemente rivisto, della declaratoria del settore scientifico-disciplinare Psicologia Clinica (ai fini di ricerca e didattica universitaria) qui di seguito riportata:
“Il settore scientifico-disciplinare di Psicologia Clinica comprende competenze relative ai metodi di studio, alla didattica e agli interventi declinate nei differenti contesti clinico-assistenziali e livelli operativi (individuale, relazionale, familiare, di gruppo, istituzionale), per tutto il ciclo di vita. Dette competenze riguardano le applicazioni scientificamente riconosciute della psicologia negli ambiti della salute, sanitario e
1 cfr
https://www.apa.org/ed/graduate/specialize/clinical, dove sono riportate ulteriori specificazioni di oggetto e ambiti della psicologia clinica.
ospedaliero, dello studio e della terapia del dolore, forense, del disagio psicologico e delle condizioni psicopatologiche (psicosomatiche, sessuologiche, da stress, da addiction incluse). Esse sono volte alla prevenzione, comprensione e cura delle suddette condizioni attraverso interventi di promozione del benessere e della salute, identificazione dei fattori di protezione e di rischio, valutazione psicodiagnostica, riabilitazione psicologica e psicoterapia 2 . Sono comprese competenze di psicofisiologia clinica e neuropsicologia clinica e quelle neuroscientifiche riferite ai modelli patogenetici bio-psico-sociali. Sono incluse le competenze metodologiche, gli strumenti e le tecniche relative ai predetti ambiti.”
Infine, è utile richiamare la definizione sviluppata nel contesto di EFPA/EuroPsy.
La Psicologia clinica costituisce uno dei diffusi ambiti di ricerca e intervento professionale della psicologia il cui dominio di applicazione concerne i problemi di adattamento, i disturbi di comportamento, gli stati e condizioni di malessere e sofferenza allo scopo di valutarli e prendersene cura con mezzi psicologici per facilitare e sostenere il benessere e lo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale delle persone.
In linea con la definizione normativa di psicologo (L.56/1989), la Psicologia clinica si contraddistingue per le teorie, i metodi e gli strumenti di intervento finalizzati alle attività di prevenzione, valutazione, abilitazione-riabilitazione e sostegno psicologico, con particolare riguardo alla comprensione della domanda dell’utente individuale e collettivo (coppia, famiglia, gruppi, organizzazioni e comunità), alla psicodiagnostica e agli interventi di aiuto e sostegno, compresi quelli strettamente psicoterapeutici (che costituiscono un particolare sottoinsieme di modalità di intervento clinico specialistico mirato a forme psicopatologiche più strutturate).
Fra i nuclei tematici di interesse operativo e di ricerca clinica possono esserne esemplificati alcuni come: la prevenzione (primaria e secondaria) del disagio personale; l’identificazione e diagnosi precoce dei rischi psicopatologici; i fattori cognitivi, affettivo-emotivi, psicosociali, comportamentali, di personalità, sociali e culturali che sono all’origine dei disturbi o mantengono la condizione di disagio; le emozioni e la loro regolazione in rapporto a salute e malattia, con specifico riguardo alle disregolazioni affettive; le modalità di gestione clinica di differenti tipi di disturbi individuali, di coppia, familiari e di gruppo; le varie forme di counseling psicologico individuale, di coppia, familiare e di gruppo; il miglioramento dell’efficacia delle tecniche psicodiagnostiche; le modalità di gestione di situazioni di crisi emotiva, relazionale o decisionale insorgenti in vari fasi e contesti di vita; la promozione del benessere psicosociale individuale e nei contesti sociali (asili nido, scuole, famiglia e lavoro); la progettazione di efficaci forme di riabilitazione psicologica e psicosociale; la valutazione dell’efficacia degli interventi di aiuto e dei di programmi di prevenzione e promozione della salute in differenti contesti sociali, ecc.
L’ambito psicologico-clinico
Le definizioni sopra riportate sono utili a delineare il perimetro della psicologia clinica come ambito dell’'intervento dello psicologo. Esse richiedono tuttavia di essere ulteriormente declinate in chiave funzionale - vale a dire: nei termini della precisazione delle precipue caratteristiche
2 La psicoterapia è qui inserita nella declaratoria di psicologia clinica come tema di insegnamento a carattere introduttivo della materia.
strutturali che richiedono un peculiare profilo di competenze dominio-specifiche per essere trattate/modulate/governate.
Partiamo da una definizione generale, che declina quelle richiamate nel precedente paragrafo.
La psicologia clinica è l’esercizio della funzione psicologica di conoscenza e intervento entro l’ambito clinico, quest’ultimo come l’insieme dei processi intrapsichici e relazionali tipici e atipici, individuali, di coppia, familiari, gruppali e istituzionali, che regolano la vita delle persona e dei gruppi negli aspetti legati alla soggettività ed alla sua esternalizzazione (ad es., il senso di realizzazione personale, l’uso delle competenze cognitive ed emotive ai fini dell’adattamento attivo, la capacità di intrattenere relazioni significative e proficue per il benessere).
Tale definizione generale ci aiuta a identificare due caratteristiche strutturali che delimitano l’ambito clinico, distinguendolo dunque dagli altri ambiti della professione psicologica (sociale, di comunità, scolastica, delle organizzazioni, giuridica).
Oggetto. L’ambito psicologico clinico è definito dall’oggetto dell’intervento. Più specificamente, l’ambito clinico consiste nei processi, fattori, condizioni e fenomeni intrapsichici, interpersonali e contestuali (i contesti e le dinamiche delle relazioni primarie, di coppia, della famiglia; ma anche dei gruppi operanti nelle istituzioni e organizzazioni; le dinamiche di comunità) correlati e/o sostanzianti stati di malessere e disagio psicologico. Dove l’attributo “psicologico” si riferisce alle determinanti del disagio (ad esempio, una limitata capacità di mentalizzazione che incide criticamente sulle modalità di entrare in relazione con gli altri) e/o al contenuto soggettivo dell’esperienza (ad esempio, una condizione di sofferenza psichica acuta legata ad una perdita)3.
L’ancoraggio all’oggetto “malessere/disagio psichico” è rilevante in quanto la scienza psicologica ha sviluppato un profilo specifico e differenziato di conoscenze e competenze psicologiche in rapporto ad esso. Il possesso di una porzione rilevante di tale profilo è dunque una condizione
3. Due precisazioni si rendono opportune.
In primo luogo, l’oggetto non coincide né concettualmente né fattualmente con la richiesta, l’obiettivo e l’utenza. Non è necessario che la richiesta allo psicologo riguardi la condizione di disagio psichico. Non raramente, infatti, i soggetti portatori di disagio psichico rivolgono allo psicologo richieste che riflettono bias nella interpretazione della loro problematica (ad esempio, la richiesta di agire su un familiare in quanto considerato come l’elemento di criticità che necessita dell’intervento psicologico). Anche l’obiettivo dell’intervento psicologico clinico non necessariamente deve coincidere con il contrasto alla condizione di malessere/disagio. In diversi casi, infatti, gli interventi psicologico clinici usano la richiesta motivata dal disagio come punto di partenza e leva per interventi orientati alla promozione di condizioni di benessere e sviluppo della persona. Infine, la condizione di disagio non va confusa con l’utente che ne è portatore. Ciò significa che l’ambito clinico non si caratterizza per un determinato tipo di utente. Infatti, da un lato, il destinatario dell’intervento non necessariamente è il portatore del disagio (ad esempio, la consulenza ai genitori finalizzata al trattamento del disagio del figlio). Dall’altro, una persona portatore di disagio può essere oggetto di un intervento che non riguarda specificamente tale condizione. Ad esempio, una consulenza di orientamento vocazionale rivolta ad un lavoratore che è anche portatore di disagio psichico, non è un intervento clinico. Per inciso, quest’ultima osservazione permette di evidenziare una caratteristica rilevante dell’intervento psicologico clinico - esso è aspecifico e rispetto ai contesti organizzativi e produttivi. Ciò significa che si focalizza sulle dimensioni psicologiche (ad es., modi di funzionamento psichico, credenze, condizione soggettiva, pattern comportamentali) connesse al malessere/disagio psicologico che il soggetto sperimenta globalmente nel proprio contesto di vita, piuttosto che sulle dimensioni psicologiche funzionali alla qualità della performance di ruolo in un determinato contesto organizzativo/produttivo (ad esempio, i fattori psicologici associati al commitment organizzativo o alla efficacia della prestazione sportiva).
In secondo luogo, malessere e disagio psicologico non implicano psicopatologia. Se è vero che una condizione psicopatologica spesso si associa ad una condizione di malessere soggettivo, è altrettanto vero che in molte circostanze gli stati di malessere/disagio non implicano forme di funzionamento mentale atipico diagnosticabili nei termini delle categorie psicodiagnostiche.
deontologica necessaria per realizzare interventi psicologici aventi per oggetto il malessere/disagio psichico.
Setting. L’intervento psicologico clinico è veicolato attraverso operazioni professionali che si realizzano attraverso la mediazione e/o in funzione di setting operanti a livello interpersonale/microsociale – primariamente attraverso l’interazione con l’utente, la conduzione di gruppi, la partecipazione a reti di scambi interpersonali. Questa distinzione ha una rilevante implicazione sul piano del profilo di competenze - la regolazione finalizzata dei contesti interpersonali/microsociali richiede modelli interpretativi, metodi e tecniche peculiari, pensati in ragione dei processi soggettivi ed intersoggettivi che caratterizzano tali forme umane.
Val la pena evidenziare che i due ancoraggi sopra presentati non vanno considerati in termini assoluti. Ciascuno di essi va piuttosto inteso come indicativo di una polarità di un continuum. Alcuni interventi si collocano in modo chiaro su tali polarità - ad esempio, un intervento di sostegno ad una persona che si rivolge allo psicologo in ragione di una situazione di malessere psicologico è un esempio di prassi caratterizzata dalla combinazione delle polarità disagio/setting individuale. In altri casi, tuttavia, l’intervento si colloca in una posizione meno polarizzata. Ad esempio, in diversi casi l’intervento è allo stesso tempo focalizzato sul disagio di cui è portatore il soggetto e sulle componenti di tale disagio che interferiscono con la performance di ruolo. Ancora, come già osservato, in alcuni casi lo psicologo non opera direttamente con le persone portatrici del disagio, dunque attraverso un setting interpersonale, ma nei termini della consulenza prestata alle agenzie (ad esempio, un reparto ospedaliero, una scuola) impegnate nella presa in carico della condizione di disagio di una determinata categoria di soggetti.
Le condizioni intermedie ora richiamate non inficiano il senso della delimitazione proposta; piuttosto, evidenziano come in diversi casi lo psicologo opera in aree trasversali e di sovrapposizione tra gli ambiti di intervento, e dunque necessita di un profilo di competenze articolato, che combini modelli, metodi e tecniche relative a più ambiti.
In sintesi, la psicologia clinica – come quella scolastica, giuridica, del lavoro ecc. - non è un sistema professionale autonomo: ciò è quanto afferma la legge ordinistica, che non fa distinzioni all’interno della professione psicologica, se non per la psicoterapia. Essa è un aspetto della funzione professionale psicologica generale, definito in base alle caratteristiche dell’oggetto e del setting di intervento: problemi da affrontare, da un lato, formati organizzativi dell’agire professionale, dall’altro.
La specificità dell’ambito clinico non riguarda dunque le funzioni generali esercitate (ad esempio, la prevenzione, il sostegno a individui e gruppi sociali, l’incremento dell’efficienza delle funzioni psichiche e del benessere soggettivo che ne consegue), né i metodi usati (ad es. il colloquio, l’osservazione, i test), che sono comuni alla professione psicologica in tutte le sue declinazioni (infatti si parla di psicologia sanitaria, o meglio della salute).
Forme dell’ambito psicologico-clinico
Prima di affrontare l’ambito specifico della psicoterapia, oggetto del prossimo paragrafo, si ritiene utile proporre di seguito un elenco esemplificativo (non esaustivo) di funzioni che lo psicologo può esercitare in ambito clinico
• Diagnosi e riabilitazione in neuropsicologia clinica
• Diagnosi e trattamento dei disturbi del neurosviluppo
• Valutazione e riabilitazione funzionale della disabilità intellettiva
• Valutazione clinica dei casi-problema in ambito scolastico (da inviare agli interventi appropriati che esulano dallo psicologo che lavora nella scuola)
• Interventi sull’ansia da prestazione, nella scuola e in altri contesti formativi
• Supporto alle famiglie con membri con disabilità, iperattività, bisogni educativi speciali, figli adottivi, patologie croniche, demenze…
• Diagnosi della personalità e delle dinamiche familiari e di gruppo
• Diagnosi e intervento preventivo del passaggio da Mild Cognitive Impairment a demenza
• Diagnosi e intervento nei servizi per le diverse forme di addiction
• Valutazione e interventi di “mental training” sullo stress in ambito sportivo
• Diagnosi e intervento sullo stress lavoro correlato in azienda
• Analisi ed interventi per il trattamento del dolore cronico
• Interventi palliativi in campo oncologico e in hospice
• Interventi di prevenzione del disagio a tutti i livelli e in tutti i contesti dove essa si attua
• Formazione alla conoscenza di teorie cliniche e dinamiche, e neuroscientifiche riferite ai modelli patogenetici, a professionisti non psicologi (insegnanti, giuristi, assistenti sociali, medici, infermieri, logopedisti)
La psicoterapia
All’interno della psicologia clinica si distingue la psicoterapia, come specifica area di attività specialistica, per l’esercizio della quale la legge prevede una formazione di III livello, di durata quadriennale, come per le specializzazioni mediche. La psicoterapia è considerata una parte della psicologia clinica che, pur condividendone gli assunti di base, è definibile specificamente come “Trattamento dei disturbi mentali o della personalità, mediante metodi psicologici” (Oxford English Dictionary). Rifacendoci anche per questo alla definizione APA, psicoterapia è
“servizio psicologico fornito da un professionista appositamente qualificato, che utilizza primariamente forme di comunicazione e interazione psicologica per valutare, diagnosticare e trattare reazioni, modi di pensare, e modelli di comportamento emotivo, disfunzionali. La psicoterapia può essere offerta a individui, coppie, famiglie, o membri di un gruppo. … Lo psicoterapeuta è una persona che è stata professionalmente formata e autorizzata per trattare disturbi mentali, emotivi e comportamentali con mezzi psicologici”.
Per inciso, la riserva introdotta dalla legge 56/89 dell’attività psicoterapeutica ai professionisti dotati di specializzazione quadriennale risulta coerente con la definizione dell’APA, laddove la prima può essere intesa come una definizione operativa del criterio della qualificazione professionale richiamato dalla seconda.
L’ambito della psicoterapia
Abbiamo visto che l’epistemologia generale, l’attenzione scientificamente fondata alla soggettività delle persone, dei gruppi e delle istituzioni sociali, i metodi utilizzati sono comuni a tutta la psicologia professionale. Pertanto, la definizione di psicoterapia non può fondarsi solo sulle caratteristiche dell’azione professionale, ma anche sulla determinazione dell’oggetto che motiva e definisce la finalizzazione dell’atto professionale specialistico.
In questa prospettiva, identifichiamo nella cura della psicopatologia l’oggetto precipuo, riservato e qualificante, della funzione psicoterapeutica. A meno di dare al termine un’accezione meramente metaforica, il termine “psicoterapia” denota la classe delle forme psicologiche di terapia. Di conseguenza, in quanto terapia, il significato di “psicoterapia” implica che essa si indirizza ad una classe di forme di patologia: le patologie di natura psicologica. Questa formulazione non esclude il fatto che la psicoterapia, come noto, si rivolge anche a forme complesse di disagio e sofferenza
esistenziale, relazionale e ambientale. Quando affermiamo che la psicoterapia è il trattamento (psicologico) di patologie di natura psicologica, intendiamo descrivere la sua funzione nel suo aspetto differenziale ed esclusivo. Ciò ovviamente non è in contrasto con il fatto che “il più comprende anche il meno” - vale a dire che la funzione psicoterapeutica si occupa anche di forme di disagio non esplicitamente psicopatologiche. Gli esempi potrebbero essere molti, per esempio una psicoterapia della coppia dove non necessariamente le due persone in terapia presentano un disturbo psicopatologico; oppure un ragazzo che segue una psicoterapia perché soffre in quanto bullizzato a scuola.
Tornando alla psicoterapia delle condizioni psicopatologiche, va ricordato che la letteratura scientifica di riferimento riconosce le condizioni psicopatologiche e il loro studio scientifico come ambiti di elevata complessità che richiedono approfondimento teorico, apprendimento supervisionato delle tecniche di ricerca e intervento, apertura alla verifica dell’esito e del processo terapeutici e all’uso di adeguate competenze per realizzare tale verifica. Per tale ragione, la presa in carico psicoterapeutica richiede competenze specialistiche di cura (nel senso di trattamento), oltre quelle di sostegno apprese nel percorso formativo di base; competenze specialistiche che - insieme a un’esperienza pratica e relativa supervisione in quantità e qualità appropriate, come previsto dalle norme per la specializzazione - qualificano il profilo formativo e funzionale peculiare dello psicoterapeuta.
Sulla base di tali considerazioni, si avanza la seguente definizione di psicoterapia.
La psicoterapia è la funzione professionale psicologico-clinica specialistica cui compete l’intervento terapeutico sulle condizioni di rilievo psicopatologico (come definite dai sistemi diagnostici di riferimento in uso a livello internazionale). Essa agisce per mezzo di interventi verbali, relazionali, cognitivi, comportamentali (a differenza della psichiatria biologica che comprende nel suo intervento la prescrizione farmacologica), con la disponibilità a verificare scientificamente efficacia ed efficienza del proprio intervento, secondo le metodologie di ricerca che la specifica comunità di riferimento ha sviluppato appositamente (cfr. bibliografia in calce). In tal senso lo psicoterapeuta tende a specializzarsi in una forma di intervento, correlata a una tradizione storica, a modelli teorici specifici, in specifici ambiti prevalenti.
Da tale definizione derivano i seguenti parametri identificativi della dimensione di esclusività della psicoterapia. È da considerarsi esercizio di attività psicoterapeutica (piuttosto che psicologico non specialistico in ambito clinico) quando sono presenti in contemporanea le seguenti condizioni:
(a) si interviene sia su condizioni di disagio o malessere psicologico, sia su condizioni di psicopatologia4, opportunamente diagnosticata e valutata come adatta ad essere sottoposta a programma psicoterapeutico;
4. Vale la pena precisare che laddove sussista una condizione di psicopatologia, il malessere/disagio psicologico va considerato per definizione un elemento partecipe del quadro psicopatologico, e dunque sussunto in esso. Ciò implica che lo psicologo non specializzato in psicoterapia può operare sul malessere/disagio, anche in persone con psicopatologia, solo a condizione che l’obiettivo dell’intervento non implichi – anche solo di fatto - una modifica programmata di tale condizione psicopatologica. Ad esempio, l’azione diretta sul malessere associato ad una condizione depressiva richiede l’intervento dello psicoterapeuta, in quanto tale azione ha per oggetto la condizione psicopatologica. La mitigazione di uno stato di malessere di una persona portatrice di psicopatologia, realizzato attraverso il potenziamento della qualità della rete sociale del soggetto sofferente è invece un intervento che non ha per oggetto la modifica formalmente pianificata della condizione psicopatologica, dunque in quanto tale realizzabile da uno psicologo non specializzato. Lo stesso dicasi per le forme di supporto alla persona con psicopatologia che però non configurano una psicoterapia strutturata nel senso descritto nei punti a) - c).
(b) che l’intervento sia programmato come psicoterapeutico – vale a dire, abbia per scopo il trattamento della condizione psicopatologica 5 - in ragione di una valutazione psicodiagnostica preliminare6, e concordato come tale con il committente;
(c) che l’intervento psicoterapeutico – a prescindere dalla sua durata - si attui con metodi e tecniche specialistiche, in base ad un preciso modello di psicoterapia, richiedenti una formazione specializzata e un adeguato periodo di supervisione su trattamenti di pazienti, famiglie o gruppi (cosa che viene fatta in Italia nella specializzazione che permette di iscriversi all’elenco degli psicoterapeuti). Anche in questo caso, la differenza rispetto alla psicologia clinica non è nell’obiettivo generale di ridurre il disagio e incrementare il benessere di individui, coppie, famiglie, gruppi sociali, ma nella tipologia di problemi affrontati, e nei metodi che richiedono una formazione specialistica apposita, di tipo sanitario.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI:
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5. Ritorna qui la distinzione introdotta in precedenza tra oggetto e tipo di utenza. Il fatto che l’utente sia portatore di una condizione psicopatologica non è condizione né sufficiente né necessaria per identificare l’intervento come psicoterapeutico. Lo psicologo non specializzato può lavorare con utenti portatori di condizioni psicopatologiche, ma non su tali condizioni (vale a dire: con l’obiettivo di modificarle). Gli interventi di sostegno non hanno per obiettivo la modificazione della condizione psicopatologica, ma il potenziamento delle opportunità di adattamento entro i vincoli dati da tale condizione (si veda nota precedente). Tali interventi rientrano dunque nell’ambito psicologico clinico, non psicoterapeutico. Da un punto di vista complementare, che l’utente sia portatore di psicopatologia non è una condizione necessaria per classificare l’azione del professionista come psicoterapia. Vi sono infatti casi in cui lo psicoterapeuta non entra direttamente in rapporto con il portatore della condizione di psicopatologia, ma opera come consulente di soggetti ed agenzie (ad esempio, familiari, scuola) che mediano il contesto dell’utilizzatore finale dell’intervento. Condizione necessaria e sufficiente per qualificare l’azione come psicoterapia è dunque che lo scopo dell’intervento – la sua funzione – sia il trattamento della condizione psicopatologica.
6. La necessità che l’intervento psicoterapeutico sia fondato, motivato e legittimato dalla valutazione psicodiagnostica è un presupposto logico della definizione proposta, non una prescrizione operativa. E’ ovvio che se la psicoterapia si definisce come trattamento della psicopatologia, il professionista che interviene qualifica il proprio atto come azione psicoterapeutica in ragione del fatto e nella misura in cui esso si eserciti su una condizione psicopatologica, con lo scopo, concordato con il committente, di modificarlo. Da ciò deriva l’obbligo da parte del professionista di acquisire preliminarmente alla programmazione dell’intervento una adeguata conoscenza circa la sussistenza della condizione psicopatologica. Anche quando non effettua direttamente la valutazione diagnostica, il professionista (psicologo o psicoterapeuta che sia) deve definire limiti e scopi del proprio intervento sulla base della conoscenza della condizione psicodiagnostica dell’utente.