Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

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Giancarlo Dimaggio
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Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Giancarlo Dimaggio »

Da mesi volevo parlarne, colgo l'occasione da quello che è successo.
La Società Psicoanalitica Italiana ha scritto una lettera formale a Meloni chiedendo di riconsiderare seriamente l'uso dei puberty blockers perché la loro efficacia non è provata, gli effetti collaterali possono essere gravi e irreversibili e mette in discussione la diagnosi di "disforia di genere". Faccio notare che è una questione che sta molto cara a vari gruppi femministi che sono estremamente preoccupati da questa tendenza.
Nelle conversazioni informali con molti colleghi la preoccupazione verso tutto ciò che si sta muovoendo attorno all'identità di genere è alta. A me personalmente (e a moltissimi) l'idea che il concetto di "genere" sia svincolato dal concetto di sesso biologico sembra la più grande assurdità scientifica degli ultimi non so quanti anni. L'idea che gli adolescenti possano decidere il percorso medico e chirurgico senza il parere dei genitori e dei medici, come chiedono le leggi adottate in Spagna e ora in Scozia fa semplicemente paura.
Quando ho letto che il DSM adotta il costrutto "assegnato maschio o femmina alla nascita" ho pensato: bene, anche gli psichiatri americani si sono piegati alla politica.
Se poi immaginiamo una psicoterapia svincolata dalla biologia, dal corpo biologico, dallo schema corporeo, per carità va benissimo. Se pensiamo che uno sia maschio o femmina non perché ha determinate strutture biologiche (tipo cromosomi, gonadi, organi sessuali esterni, quelle cosette lì) ma perché la cultura lo posiziona, va benissimo. Se pensiamo che lo schema corporeo non conti nell'identità, va benissimo. Quella cosa che ci fa notare "ops ho un pisello o una patatina", mi sa che sono maschio o femmina, allo stesso modo in cui ho 10 dita e dico, "ops ho dieci dita".
Gianni Liotti diceva una cosa fondamentale: abbiamo un paio di perni dell'identità e uno era lo schema corporeo. Vogiamo rinunciarci?
Se vogliamo rinunciarci, va benissimo, adottiamo tutti un paradigma di costruzionismo sociale (da Kenneth Gergen alla profetessa di questa roba che è la filosofa post-lacaniana Judith Butler) e al diavolo Michael Tomasello, De Waal, Paul Ekman e via dicendo.


Oppure, ci vogliamo riflettere ad alta voce?
Perché a me che la SPI si sia esposta su un tema gigantesco e noi non ne parliamo mi rode.
E un mondo in cui uno dice: biologia e si sente rispondere "destra trasnfobica" non piace manco un po'.

Giancarlo
Antonio onofri

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Antonio onofri »

Caro Giancarlo,
Sono felice di leggerti e che finalmente qualcuno sollevi un dibattito sul tema.
Abbiamo faticato tanto per rimettere in mezzo alle nostre terapie la realtà dell’esperienza corporea e ora….. finiamo per riconsiderarla del tutto ininfluente?
E’ un tema certamente molto delicato attraversato da pesanti storie di vita e grandi sofferenze ma proprio per questo bisognerebbe cercare di evitare conformismi ed estremismi ideologici…..
Grazie per aver dato il via alla discussione
Antonio
Eugenio Giommi

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Eugenio Giommi »

Sono pienamente in accordo con Dimaggio, e lo ringrazio di cuore per le sue affermazioni coerenti e coraggiose. Eugenio Giommi
Nino Carcione

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Nino Carcione »

Caro Giancarlo,
Sono in pienissima sintonia su tutti fronti è preoccupatissimo per le conseguenze di una presa di posizione del mondo psichiatrico e psicoterapico che segue una moda politicamente corretta che fa si che l’ideologia (o non le idee) guidi le scelte.
Mi sono occupato in prima persona della traduzione del DSM 5 TR della disforia di genere e avevo i brividi.

Speriamo di prendere anche noi una posizione seria che affronti il tema senza pregiudizi- da nessuna posizione - e con la profondità e sensibilità che merita.

Nino
Laura Ferrari

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Laura Ferrari »

Non capisco se si sta mettendo in dubbio l'efficacia o l'etica o l'opportunità degli interventi clinici o sociali nella gestione dei soggetti con varianza di genere o se a essere messa in discussione sia la varianza di genere stessa. È un dato di fatto credo anche acclarato scientificamente e epudemiologicamente che per alcuni individui non ci sia corrispondenza tra biologia e aspetto del corpo e identità di genere. Lo schema corporeo è ovviamente uno degli aspetti fondamentali della costruzione dell'identità di sé ma non possiamo continuare a ritenere patologico o non conforme chi costruisce una immagine di sé che si svincola dal dato cromosomico. La varianza di genere non sempre richiede una modifica dello schema corporeo, non tutti i pisellini vengono tagliati, non tutte le patatine vengono modificate. La costruzione dell'immagine di sé è un percorso per trans 9 cisgender, molto spesso faticoso e proprio in pubertà inizia per molti la battaglia per l'accettazione del proprio corpo. Come terapeuti ci aspettiamo che l'esito di questa battaglia sia un equilibrio di riconoscimento ri sé e benessere soggettivo. Anche se questo passa attraverso il rifiuto e il non riconoscimento della componente cromosomica Quello che sta accadendo nella nostra contemporaneità è che si stanno cercando modi e spazi per consentire a ogni identità di avere diritto di esistenza, attraverso linguaggi inclusivi in cui ogni identità devbà essere considerata una delle opzioni del possibile. Sesso assegnato alla nascita mi sembra una delle opzioni più comprensive e non giudicanti da cui partire se pensiamo alla pluralità di soggetti che incontriamo in terapia. Se deve esserci un dibattito in una società scientifica io credo che sia opportuno sulla valutazione clinica degli interventi non sulla opportunità di valutare l'esistenza della popolazione che è portatrice della domanda di cura. Insomma, parliamo delle conseguenze degli interventi ormonali a livello medico, consideriamo review sugli esiti di interventi di riassegnazione, valutiamo gli impatti delle terapie di accettazione di sé. Quanti adolescenti transgender interrompono i propri percorsi perché riscoprono o confermano una iden
Cristina Carucci

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Cristina Carucci »

Sono d accordo con Giancarlo. È un argomento molto delicato sul quale mi sembra importante aprire un dibattito.
Antonio Leone

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Antonio Leone »

Pienamente d'accordo con Di Maggio. Finalmente si rompe un tabù e può aprirsi un dibatto su una questione delicatissima. E' opportuno però che si sappia andare oltre la semplice questione dei diritti per aprirsi a una dimensione sociologica e saper porre il problema della responsabilità sociale delle azioni. Ricordiamo l'insegnamento di M. Polanyi il quale ha osato affermare che neanche "la scienza" può definirsi immune da una dimensione ideologica; oppure gli insegnamenti di E. Morin che ci ha fatto riflettere sul fatto che un'idea, anche se dettata dai più sani intendimenti e da onestissimi principi, può generare effetti deleteri nella dinamica complessa del suo tradursi in azione.
Laura Ferrari

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Laura Ferrari »

Il costrutto di genere è un costrutto sociale, nasce in sociologia, varia culturalmente e anche politicamente, nei paesi e nei tempi. L'identità non è il frutto di un percorso e di una costruzione? Non passa attraverso tappe e fasi evolutive? Non è influenzabile dal contesto di attaccamento e da variabili funzionali e di adattamento? Il dato biologico non è trascurabile mai in nessun caso, come non lo è per ogni disturbo clinico. Credo che sarebbe molto interessante aprirsi a valutare l'impatto di una divergenza tra sesso biologico e identità di genere sullo schema corporeo, non a priori considerare che se in alcuni non esiste una convergenza tra i due elementi questo significhi che scompare la rilevanza della corporeità. Credo che inevitabilmente in questi temi entrino in gioco nostri personali sistemi di valori con cui dobbiamo confrontarci.
L'inclusività è un prerequisito fondamentale per ogni intervento clinico. Sesso assegnato alla nascita come tutti i nuovi codici linguistici può sembrare forzato o incomprensibile o pleonastico o addirittura ridicolo a qualcuno ma è bla funzione che quel codice porta che è rilevante.
A mio parere le prese di posizione più significative "contro" sono altre. Come ci esprimiamo ad esempio come società riguardo alle terapie di conversione, rifiutate e stigmatizzate dall'ordine ma non vietate dalla legge italiana?
Giuseppe Dimaggio

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Giuseppe Dimaggio »

intanto grazie a tutti quelli che hanno risposto e un moto di empatia in particolare verso Nino perché capisco il suo brivido nel lavorare sulla traduzione dell'ultimo DSM 5 (posso solo immaginare cosa ha provato Giuseppe Nicolò).
Riguardo a quello che dice Laura Ferrari vado per punti
1) il linguaggio inclusivo è sbagliato grammaticalmente (non è il mio parere, al di là di quello che possono dire Vera Gheno o Michela Murgia).
2) il sesso non è assegnato alla nascita da nessuno. Il sesso è biologico. Ci può essere differenza tra sesso e genere? Sì, certo, per meccanismi che a oggi sono per altro sconosciuti. Ma pensare che il genere sia del tutto svincolato dal sesso e sia solo un costrutto culturale è una roba inascoltabile.
3) questo significa patologizzare o emarginare chi ha identità transgender? No. Significa avere una visione della mente umana che sia radicata nella scienza e non dire che è tutto cultura, che è semplicemente un atto di arroganza fanatica. Secoli di dibattito nature/nurture e mo in nome del politicamente corretto è tutto nurture. Si può essere sanamente transgender? Certo che sì. Ma questo lo si può affermare senza stravolgere la teoria sul funzionamento della mente umana.
4) sui paradigmi di cura: le leggi scozzesi e spagnole sono folli (mi sto moderando nei termini). Dovrebbe essere obbligatorio che se un ragazzo presenta disforia di genere venga seguito e venga tenuta in conto la possibilità che la disforia di genere sia l'ultimo dei suoi problemi. Come diceva il precedente direttore della Tavistock Clinic, che ha poi parlato dello scandalo si parla di ragazzi con 40% di aspetti autistici, storie post-traumatici micidiali e una dose di contagio sociale impressionante. Che è quello che io e i colleghi che conoscono osserviamo nella clinica. A farne le spese sono soprattutto le ragazze normalmente lesbiche e bisessuali e i ragazzi normalmente gay che ricevono una pressione a pensarsi come nati in un corpo che non gli corrisponde. Quindi lo psicoterapeuta/psicologo clinico/psicoterapeuta deve, e sottolineo deve, entrare nel processo decisionale e non perché le associazioni di attivisti gli impongono il da farsi. Anche perché gli interventi di puberty blocking e chirurgici hanno effetti collaterali ampi e irreversibili e in gran parte sconosciuti a lungo termine. Significa ostacolarli? No. Significa accumulare letteratura seria e prolungata e dopo si deciderà.
5) potenzialmente questi per chi è gay, bi, lesbica e trans nell'europa occidentale oggi sono tempi meravigliosi, perché è un caso raro di una cultura aperta e accettante, questo è bellissimo. Ma da qui a sostituire la psicologia e la psicopatologia con astruserie post-lacaniane e di costruzionismo sociale (non è il costruttivismo giusto per chi già non lo sa).
6) tema correlato: grazie a questa corrente culturale in Canada hanno finanziato "ricerca medica" basata sulle idee degli sciamani indigeni perché "è ora di dire basta a questa idea che i fattori di rischio del cancro siano quelli proclamati dalla medicina occidentale colonialista". Non è una cosa su cui nessuno scienziato può chiudere gli occhi,
Giancarlo
am.inverso@libero.it

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da am.inverso@libero.it »

Grazie, Giancarlo di aver sollevato il problema.
E' un tema che fa paura.
Nell'ultimo anno nel mio ambulatorio è arrivato un numero spropositato di ragazzine tra i 13 e i 15, che affermano di sentirsi maschi, alcune delle quali hanno tentato il suicidio.
Informazione attendibilissima, anche se ancora non formalizzata, proveniente da un ospedale infantile, collettaneo di disturbi psicopatologici in età evolutiva di un'intera regione, segnala un incredibile aumento di tentativi suicidari in adolescenti femmine, che dichiaravano non sentirsi tali e attribuivano il loro estremo malessere al loro genere biologico non corrispondente al loro personale senso di identità.
Il numero dei tentativi suicidali riusciti è anch'esso alto e in aumento.
Per quanto riguarda la mia esperienza, le ragazze in questione sono tra di loro connesse, frequentano gli stessi ambienti, spesso la stessa scuola e tutte insieme sembrano connesse ad un unico soggetto (una specie di Hub) attraverso i social.
E' una discussione importante e urgente.
Grazie ancora
Angelo Inverso
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