Gentili Colleghi e Gentili Colleghe,
è con grande piacere che vi comunico la pubblicazione del mio libro: La storia di un bicchiere e del suo contenuto. Come la nostra mente costruisce la realtà esterna. PM Edizioni (2022), del quale riporto di seguito la prefazione.
Un cordiale saluto,
Livio Della Seta
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PREFAZIONE
Attraverso il racconto di molte storie questo libro si occupa delle conseguenze, straordinarie e trascuratissime - per la psicoterapia e per la vita di tutti noi -, di quella che è forse la cosa più banale del mondo: il fatto cioè che non esiste un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, perché esiste solo ciò che quel bicchiere significa e rappresenta per ciascuno di noi.
Immanuel Kant, il primo psicologo moderno, aveva capito che nella mente sono presenti degli “a priori”: schemi mentali rappresentati da emozioni provate in tempi passati, ormai lontani della nostra vita, che ci obbligano a vedere, a creare, un mondo affettivo di relazioni interpersonali “come se” le cose fossero in un modo piuttosto che in un altro, indotti a scambiare per realtà ciò che invece è prodotto dalla nostra mente.
Suddividendo arbitrariamente il mondo nel quale siamo immersi in un mondo fisico e in uno psicologico, potremmo dire che i cinque sensi sono lo strumento di cui disponiamo per entrare in contatto con il primo. Nel mondo psicologico, invece, dove il nostro interesse è rivolto al rapporto che instauriamo con gli altri e, anche, con noi stessi, gli strumenti a nostra disposizione sono rappresentati da quei pensieri e da quelle emozioni che in maniera spontanea si generano nella nostra mente ogni volta che entriamo in contatto con i nostri simili.
Mario sta guidando la sua automobile, e a un certo punto quasi investe un pedone che sta attraversando la strada. Pensa: “Guarda questo imbecille, per poco non lo metto sotto!” e prova rabbia, aggressività.
Identica situazione: Carla sta guidando la sua automobile, e a un certo punto quasi investe un pedone che sta attraversando la strada. Pensa: “Devo fare più attenzione, sono proprio sbadata!” e prova emozioni completamente diverse da quelle di Mario. Direi paura, senso di colpa.
Due pensieri diversi, accompagnati da modi di sentire diversi, dovuti a modalità diverse di avvertire lo stesso avvenimento; cui, inevitabilmente, seguiranno comportamenti molto diversi.
L’importanza dei pensieri e delle emozioni deriva quindi dalla loro “significatività”, vale a dire per il significato, per il modo in cui ci rappresentano le cose. Essi ci mettono in contatto, ci consentono di conoscere gli avvenimenti della vita, non per come essi sono nella loro “realtà oggettiva”, che non esiste, ma in una modalità che potremmo definire “come se”: “come se” vi fosse un intralcio se provo rabbia, o “come se” il problema fossi io se provo un senso di colpa. Ciò che essi descrivono non è ciò che è, ma ciò che appare in quel particolare momento a quel particolare individuo. In altre parole: non siamo in grado di vedere le cose come sono; vediamo le cose come siamo. Al punto tale che ogni volta che qualcuno ci parla di qualcosa, ci sta dando esclusivamente informazioni su se stesso, sul suo modo di vederla, quella cosa. Proprio ciò che accade a Mario e Carla.
Pensieri ed emozioni, quindi, al servizio del comportamento; esistono per esso, e se scomponiamo la parola emozione nelle sue due componenti, e-mozione, capiamo che ciò che ci farà comportare in modo piuttosto che in un altro è la componente emotiva che ogni ragionamento accompagna.
E continuando a raccontare storie espongo una mia intuizione. Credo che ogni nostro comportamento avvenga esclusivamente sulla base di ciò che inconsciamente avvertiamo essere meglio per noi una frazione di secondo prima di agire. Ma cos’è questo “essere meglio per noi”? Sappiamo che tutto ciò che accade nel mondo circostante suscita in noi delle emozioni; ma l’emozione che ci farà agire in un modo piuttosto che in un altro, in una determinata circostanza, sarà sempre quella che più di ogni altra ci trasmetterà la sensazione che, una volta messo in atto proprio quel comportamento, varremo un po’ più di prima. È come se tutto ruotasse attorno alla considerazione che abbiamo di noi stessi, obbligati a percepirci sempre come persone che, grazie a quella particolare azione – non un’altra – sentono aumentare la loro autostima. Forse la dimostrazione scientifica dell’inesistenza del libero arbitrio: una profonda innocenza, inscritta nella biologia delle reti neurali, con la sconfitta definitiva del senso di colpa, perché al momento di agire non avremmo potuto fare altrimenti. Concetti questi, che mi consentono di riallacciarmi alla Teoria dell’Attaccamento di John Bowlby, e formulare l’ipotesi che anche il meccanismo da me descritto potrebbe rappresentare un’importante e potente strategia che l’istinto di sopravvivenza ci costringe ad attuare per mantenere - con gli altri - una vicinanza protettiva salvavita nei confronti dell’ostilità dell’ambiente circostante.
Gli ultimi due capitoli, Appendice 1 e Appendice 2, sono dedicati ai luoghi comuni e alle parole da buttare in psicologia. Tra queste ultime vi sono parole come psicologia stessa, ansia e stress, tutte fonte di confusione e quindi di ulteriore sofferenza mentale.