Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

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Giuseppe Dimaggio
https://www.youtube.com/channel/UCYEG-tsioNZ1TDK3B9Y1g7g

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Giuseppe Dimaggio »

Anche gli scimpanzé maschi sono assegnati alla nascita. Uguale agli umani. Mannaggia
Articolo open access
https://journals.sagepub.com/doi/10.117 ... 6221140326
Giancarlo
Nino Carcione

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Nino Carcione »

Concordo con Maria Marino che la lettera ha vari punti da rivedere, infatti credo che lo scopo non sia tanto elogiare la lettera, quanto l'inziativa.

Giancarlo infatti dice: "quanto rosico che l'hanno fatto loro, anche perchè se l'avessi fatta io l'avrei fatta meglio"? Vero Giancarlo? E devo dire che sono abbastanza convinto che sarebbe stato vero! :D

Un s*l*t@ a t*tt#

Nino
Giuseppe Dimaggio

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Giuseppe Dimaggio »

Rispondo al volo a un paio di cose.
Il problema nature/nurture è che chi spinge tutto il lavoro sul definire e trattare la disforia di genere adotta un approccio paradossale. Intanto risolve il dibattito in termini: è tutto nurture.
La locuzione (per me rasenta il delirio) "assegnato alla nascita" esemplifica perfettamente questa posizione.
E attenzione perché è stata inviata una lettera alla presidente Meloni da varie associazioni mediche congiunte, a partire da quella di pediatria che critica la lettera della SPI. E specifica che la disforia di genere non è l'incongruenza tra il genere percepito e quello biologico, ma tra quello percepito e quello "assegnato alla nascita". Quindi nega proprio l'importanza del sesso biologico.
La cosa che io poi trovo folle, niente di meno che folle, è che per curare agiscono sul corpo in modo farmacologico e chirurgico. Il che ovviamente non è sbagliato a priori, è ovvio che una persona transessuale in modo chiaro, stabile e accertato avrà bisogno di trattamenti farmacologici e chirurgici. Per alterare il sesso fenotipico a livello del corpo!
Se fosse solo un problema di "assegnato alla nascita", risolveremmo tutto con una meravigliosa procedura rituale di ri-assegnazione sociale in modo che il genere percepito corrisponda oggi, dopo condiviso passaggio sociale, al corpo "assegnato dalla società". E quindi la persona ha risolto il problema. Ma se il sesso biologico non c'entra, perché mai sarebbe necessario alterare il fenotipo?

Per quanto riguarda la teoria della mia mente, "io l'avrei fatta meglio", ovviamente c'è molto di vero, poi, vabbé Nino mi conosce giusto un filino. E qui cogliete il punto, giusto una variazione. Il motivo del mio iniziare il dibattito nasce da un "noi SITCC l'avremmo fatta meglio". Perché siamo più bravi, preparati e abbiamo una teoria del funzionamento mentale più solida scientificamente.
Un s*luto * t*tti
Giancarlo
Francesca Cavallo

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Francesca Cavallo »

Buongiorno,
Vi inoltro, se può esserci utile per meglio ragionare insieme, la risposta delle società medico-scientifiche che gravitano attorno alla questione Disforia di Genere.
Buona lettura e buon weekend.
FC

"Alla cortese attenzione del Presidente del Consiglio dei Ministri
Gentilissima Presidente Giorgia Meloni,
i presidenti della Società Italiana di Genere Identità e Salute (SIGIS), Dott.ssa Alessandra Daphne Fisher, della Società Italiana di Endocrinologia (SIE), Prof. Annamaria Colao, della Società Italiana di Pediatria (SIP), Prof Annamaria Staiano, della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), Prof. Mariacarolina Salerno, della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (SIAMS), Prof. Andrea Isidori, della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA), Prof.ssa Elisa Fazzi, dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG), Prof. Paolo Valerio, esprimono sconcerto per i contenuti della lettera indirizzata dal presidente della Società Psicoanalitica Italiana alla Presidenza del Consiglio dei Ministri sul tema dell’uso dei bloccanti ipotalamici negli adolescenti con Incongruenza di Genere, ovvero quei farmaci utilizzati per indurre una sospensione temporanea e reversibile dello sviluppo puberale.

Nello specifico, l’evidenza scientifica non sostiene le criticità così come riportate nei contenuti della lettera.
i) Il testo descrive erroneamente il trattamento con bloccanti ipotalamici in adolescenti con incongruenza di Genere come un trattamento in fase di sperimentazione, omettendo che lo stesso è stato approvato dalla Determina AIFA (n. 21756/2019), ha avuto parere favore da Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) in data 13 luglio 2018, è sostenuto da raccomandazioni scientifiche internazionali sottoscritte anche a livello nazionale ed è ampiamente utilizzato nella pratica clinica a livello internazionale. Inoltre, tale intervento medico è riservato a casi attentamente selezionati, a seguito di una valutazione multidisciplinare e individualizzata come descritto nella determina AIFA.

ii) Siamo d’accordo che i dati scientifici a oggi disponibili ci confermano una stabilità dell’identità di genere a partire dall’età puberale (e non pre-puberale o in infanzia); per questo, come ampiamente documentato nelle raccomandazioni internazionali, i bloccanti ipotalamici sono prescrivibili solo a pubertà già avviata e in particolare quando è stato raggiunto almeno lo Stadio Tanner 2. Ricordiamo inoltre che il razionale dell’uso dei bloccanti si basa sulla possibilità di guadagnare tempo proprio per riflettere in modo più consapevole, reversibile e scevro dalle difficoltà legate all’avanzare della maturazione sessuale. La popolazione di adolescenti transgender è, infatti, descritta come psicologicamente più vulnerabile (con più alto tassi di depressione, ansia e rischio suicidario) anche per la preoccupazione o la sofferenza legata al contatto con un corpo che sviluppa in una direzione diversa dalla propria identità di genere. È importante sottolineare come gli studi di follow up a oggi dimostrano che il trattamento con i bloccanti ipotalamici è in grado di ridurre in modo significativo i problemi comportamentali ed emotivi e il rischio suicidario, nonché di migliorare il funzionamento psicologico generale negli adolescenti trattati.

iii) La definizione di Disforia di Genere non fa riferimento, come espresso nel testo, al “non riconoscersi nel proprio sesso biologico”, piuttosto alla sofferenza psicologica che può derivare dall’avere un’identità di genere diversa dal sesso assegnato alla nascita. Tale sofferenza deriva in gran parte dal vivere a contatto con il pregiudizio e lo stigma di chi non riconosce l’esistenza della varianza di genere come una normale espressione dell’ampio spettro in cui le identità di genere possono svilupparsi.
Tutte le identità di genere, come riconosciuto dalla World Health Organization e dalla American Psychiatric Association, sono normali variazioni dell’identità sessuale di una persona e possono svilupparsi in modo diverso dal sesso assegnato alla nascita.

iv) La valutazione dell’identità di genere si basa sulle affermazioni del soggetto; ciò vale per tutte le valutazioni in psicologia e psicopatologia, anche all’interno di un approccio psicoanalitico di cui si fa portavoce la stessa Società Psicoanalitica Italiana.

Per concludere, si ribadisce l’importanza di diffondere informazioni adeguate sulla base delle evidenze presenti nella letteratura scientifica internazionale e nazionale. Contrariamente, la diffusione di informazioni non corrette rispetto a questo tipo di trattamento, rischia di compromettere la possibilità di accesso a percorsi di affermazione di genere a giovani persone con Incongruenza di Genere con effetti devastanti sulla loro salute psicologica e fisica nel breve e lungo termine. È ampiamente descritto in letteratura come gli ostacoli di accesso all’assistenza sanitaria siano associati a peggioramento del funzionamento psicologico e aumento del rischio suicidario in una popolazione che è oggetto di stigma anche a livello di assistenza sanitaria. Compito dei professionisti è quindi proprio quello di diffondere una cultura legata alle tematiche di salute transgender basata sulle evidenze scientifiche e non sull’ideologia.

A sostegno di quanto riportato segue una breve bibliografia scientifica:
American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5); American Psychiatric Publishers: Arlington, VA, USA, 2013.
Coleman et al. Standards of Care for the Health of Transgender and Gender Diverse People, Version 8, International Journal of Transgender Health 2022, VOL. 23, NO. S1, S1–S258
Fisher AD, Ristori J, Bandini E, Giordano S, Mosconi M, Jannini EA, Greggio NA, Godano A, Manieri C, Meriggiola C, Ricca V; Italian GnRH analogs study ONIG group; Dettore D, Maggi M. Medical treatment in gender dysphoric adolescents endorsed by SIAMS-SIE- SIEDP-ONIG. J Endocrinol Invest. 2014;37(7):675-87.
Hembree WC, Cohen-Kettenis, PT, Gooren L, Hannema SE, Meyer WJ, Hassan Murad M, Rosenthal SM, Safer JD, Tangpricha V, & T’Sjoen G. (2017). Endocrine treatment of gender- dysphoric/ gender-incongruent persons: An Endocrine Society Clinical Practice Guideline. The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, 102(11), 3869–3903.
World Health Organization. International classification of diseases 11th revision. Geneva: World Health Organization; 2018. Available at: https://icd.who.int/.
In linea, le Società Scientifiche firmatarie si rendono disponibili a un confronto diretto con la Società Psicoanalitica Italiana sulla tematica in oggetto.

A nome del Consiglio Direttivo della
Società Italiana Genere, Identità e Salute (SIGIS) La Presidente
Dott.ssa Alessandra D. Fisher
Società italiana di Endocrinologia (SIE) La Presidente
Prof.ssa Annamaria Colao
Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) La Presidente
Prof. Mariacarolina Salerno
Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (SIAMS) Il Presidente
Prof. Andrea Isidori
Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) La Presidente
Prof.ssa Elisa Fazzi
Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG) Il Presidente
Prof. Paolo Valerio
Furio Lambruschi

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Furio Lambruschi »

Caro Giancarlo, caro Nino, cari tutti

stavo pensando di buttare la mia tessera SITCC, per quanto poco l’avevo sentita viva come società scientifica nel tenere attiva la coscienza critica negli ultimi tempi, poi questo vostro “vergognoso” outing mi ha di nuovo messo in conflitto.

Complimenti, vi siete messi in un bel ginepraio. Perché, diciamocelo, al di là del tema specifico, sotto c’è una polveriera! Si sta parlando in primo luogo di come la politica e l’ideologia condizionano la cosiddetta Scienza e costruiscono la realtà sociale e sanitaria. Già il titolo di questa vostra discussione è eloquente: “Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni”. Avrebbe mai scritto Thanopolus a Letta, a Draghi o a Speranza, per porre questa questione? Fa ridere solo a pensarlo.

In questo senso, il fatto che le “sette sorelle” (SIE, SIEDP, SIGIS, SIAMS, ONIG, SINPIA, e infine SIP la società italiana di pediatria, che purtroppo conosco bene), abbiano immediatamente alzato gli scudi contro tale iniziativa SPI, non ha proprio sorpreso nessuno e anzi a mio parere confermerebbe ancor più l’utilità e l’opportunità di portare avanti questa discussione.

Le sette sorelle, come prevedibile, sbandierano le autorizzazioni AIFA e del Comitato nazionale di Bioetica (di questi tempi! come dice Antonio Leone), senza peraltro ribadire l’eccezionalità che l’uso “off label” di questi farmaci dovrebbe comportare, solo in casi molto circoscritti e con grande prudenza. E’ troppo “fascio” chiedersi che possibilità di verifica e di controllo ci sono sul fatto che le cose funzionino proprio così?
Come in ogni occasione critica, rispolverano il solito tormentone di dati sul rischio suicidario e sul peggioramento del funzionamento psicologico in una popolazione oggetto di stigma sociale. E’ troppo “fascio” sollevare una discussione su come andrebbero letti questi dati epidemiologici, forse con una attenzione più clinica e meno ideologica di quanto è stato fatto fino ad ora?
Qualcuno lo ha già sottolineato. Varrà la pena di ribadirlo (ma forse non si può dire): quanti di noi quotidianamente osservano come la grave sofferenza derivante da complessi disturbi di personalità (che si traducono ovviamente sul piano sintomatologico in una tragica confusione su tutte le aree identitarie, ivi compresa quella sessuale), in una strabiliante inversione di causalità, finisca spesso per essere superficialmente diagnosticata come “disforia di genere” e attribuita unicamente alle difficoltà nei processi di accettazione personale, familiare e sociale (talvolta con enormi colpevolizzazioni nei confronti delle figure genitoriali). Si costruisce in tal modo una splendida teoria esplicativa della sofferenza che spiega tutto e porta anzi ricorsivamente ad accelerare il processo di transizione. In questi casi, la diagnosi di disforia di genere, finisce per essere gravemente collusiva e per rafforzare ulteriormente il disturbo di personalità sottostante, togliendo peraltro al paziente e alla sua famiglia qualunque motivazione all’esplorazione di tematiche ben più complesse, perché “il ragazzo c’ha la disforia di genere!”.
E’ troppo “fascio” capire come operare perché le sbandierate “valutazioni multidisciplinari” possano essere protocollate e condotte in modo clinicamente più complesso ed entro contesti meno ideologicizzati?

E poi, come prevedibile, arriveranno, anzi sono già arrivati, i Giornaloni del pensiero unico: velocissima Repubblica, a prestissimo il Corrierone (temo Giancarlo che questa volta avranno un attimo di distrazione e si dimenticheranno di te), e poi la Stampa e via andare.

Nino, è vero che non si cambiano le cose con gli asterischi, ma in realtà i gruppi che, a livello sovranazionale stanno “democraticamente imponendo” questo tipo di ideologia e di pensiero unico inattaccabile (tanto da far sentire in imbarazzo nell’esporsi un riconosciuto e attrezzatissimo narcisista come Giancarlo ;-)), hanno come obiettivo esplicito proprio quello di trasformare gradualmente il nostro linguaggio, per “educare” le nuove generazioni a questo tipo di “accettazione inclusiva”. Pensate a quanto è diventata potente ed estrema nel nord America la follia del “Great Awokening”, fino alla scena delirante del pastore protestante “progressista” eletto alla camera dei Rappresentanti per lo stato del Missouri, che chiude la sua preghiera con le parole «Amen» e «Awoman»!! (un po’ grave per un pastore non sapere nemmeno che cosa significa Amen!).

E’ vero, Giancarlo, che basterebbe attivare un minimo di riflessività e di coscienza critica e una roba come “sesso assegnato alla nascita” apparirebbe giustamente per quello che è, cioè folle, ma è attraverso questi slittamenti linguistici (che alla fine anche le società scientifiche finiscono per assumere, a volte ottusamente a volte in modo interessato) che si costruisce una nuova realtà.

Come ha avuto modo di affermare acutamente Marco del Giudice (nostro stimatissimo collega evoluzionista che peraltro non ha timore a dichiarare quanto sia difficile fare ricerca sulle differenze di genere negli Stati Uniti) “Bollare certe parole e idee come tabù o introdurre significati alternativi di parole comuni restringe lo spazio della discussione, rende impossibile esprimere critiche e dissenso, e in questo modo apre la strada a riforme istituzionali e legislative via via più radicali, in cui ogni passo giustifica quello successivo. Tutto questo viene fatto in nome di ideali nobili come ‘rispetto’, ‘dignità’ e ‘uguaglianza’. Il politicamente corretto è difficile da contrastare proprio perché sfrutta l’empatia e l’altruismo delle persone (facendole sentire allo stesso tempo ‘dalla parte giusta della storia’) e mette i critici nella posizione di sembrare insensibili, irrispettosi e intolleranti”.

Mi piacerebbe tanto (ma davvero tanto!) dire un po’ di cose sul piano clinico e scientifico: sulle complesse osservazioni cliniche che stiamo facendo in ambito adolescenziale, sul problema sollevato del rapporto tra nature e nurture, sul ruolo dell’attaccamento nella costruzione dell’identità di genere e di quanto mi dia fastidio che sia così banalmente collocato tra i fattori ambientali: il sistema dell’attaccamento è tanto biologico quanto quello sessuale e ha certo una sua “labilità ambientale” quanto la sessualità, ma con alcuni evidenti e noti vincoli, salvo sviluppi psicopatologici. Come Società avremmo un’esperienza inestimabile da portare. Ma purtroppo nutro ancora seri dubbi sul fatto che la discussione possa diventare genuinamente scientifica.

La mia previsione è che, per evitare la scomunica, finirà presto con un mezzo, o pieno, pentimento pubblico da parte degli eritici e cattivi no-gender che hanno osato introdurre dubbi su un ambito così pieno di certezze scientifiche come quello dell’identità di genere (!). E tutti vivremo felici e contenti in un mondo più accettante e inclusivo.

E io dovrò buttare la mia tessera SITCC.
Auguri!

Furio Lambruschi
Simona Specchio

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Simona Specchio »

Buongiorno a tutti, credo che questa questione sia nostro dovere, e non solo interesse, doverla affrontare. Ringrazio Giancarlo per il coraggio che lo contraddistingue e tutti i professionisti che stanno partecipando al dibattito. Nella mia esperienza clinica 2 adolescenti su 3 mi parlano di confusione sulla propria identità sessuale, e seppur non sono i numeri di un ambulatorio, non ho potuto non pensare a questo come un problema che sta riguardando un’intera generazione. Spero che si esca dalla dicotomia biologia vs cultura, o una o l’altra, perchè altrimenti l’utilità del dibattito si abbassa vertiginosamente. Che il sesso biologico sia un dato reale, che esiste, io onestamente non penso si possa mettere in discussione, e neanche il fatto che lo schema corporeo contribuisca a definire l’ideantità: se pensiamo che tutti possano diventare tutto (costruendocelo socialmente) è destabilizzante- come succede a mio parere per gli adolescenti- e rasentiamo il coaching motivazionale. Allo stesso tempo la costruzione sociale ci ha resi gli animali squisitamente evoluti che siamo oggi, e ci dà delle possibilità che i nostri amati topolini non hanno. Il contesto culturale può conferire significati diversi alla psicopatologia e deve essere necessariamente considerato. L’idea che la politica stia virando sempre più verso i puberty blockers come risolutori del problema semplifica e mortifica la problematica di cui soffre la persona, con tutta la sua complessità. Inoltre dobbiamo considerare anche gli effetti sulla società tutta: da clinici, come possiamo accompagnare l’elaborazione di tutto questo? Non solo nel ragazzo o ragazza che ci chiede aiuto ma anche in un compagno di classe, in un genitore, in un genitore di un compagno di classe (e via dicendo...). Però attenzione: nel clima culturale attuale è facile che una posizione scientificamente corretta (abbiamo bisogno di più dati, valutare gli effetti collaterali, gli effetti a lungo termine) possa essere associata ad un discorso politicamente orientato. Il focus primario, che deve essere a mio parere esplicito e ribadito, è quello del benessere soggettivo, seppur con l’attenzione e la cautela che solo la scienza ci permette di esplicare. Spero che la nostra comunità scientifica si esprima a riguardo.
Grazie mille per queste ricchissime riflessioni.
Simona Specchio.
Marianna Liotti

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Marianna Liotti »

Intanto, di nuovo, grazie a tutti per la condivisione di opinioni, anche accese :)

Io credo che bisognerebbe far attenzione a non assumere una posizione "reazionaria", chiudendoci così a un dialogo che sia davvero scientificamente fondato, ossia il più possibile libero da bias. Ben vengano i pareri diversi, anche estremi in un senso o nell'altro, ma credo non valga la pena diventare aggressivi o denigratori, altrimenti si finisce per assumere una posizione uguale a quella che si critica.
Se, come è stato detto, può esistere una transessualità sana, o un non binarismo sano, e se non sono gli asterischi a cambiare direttamente la realtà, allora a me appare sensato poter ricorrere all'asterisco (per esempio, quando scrivo una mail) come modalità utile per mantenere un atteggiamento di rispetto verso le persone non binarie. Costruire un dialogo con loro su ciò che può ridurre lo stigma che, indubbiamente, esiste.
Non vorrei venire confusa: sono d'accordo che non è certo a colpi di politicamente corretto, né attraverso un illimitato moltiplicarsi di categorie linguistiche, che lo stigma può essere abbattuto. Ma non vedo perché buttare il bambino con l'acqua sporca assumendo la posizione di chi dice "non si può più dire niente o si viene tacciati di [inserire un "ismo a scelta]!".

A me pare più utile incaponirsi su una posizione che sia in direzione ostinata e contraria proprio verso chi si percepisce come poco aperto al dialogo, facendo e facendosi domande più che dare risposte apodittiche.

Per esempio, l'uso dei puberty blockers appare effettivamente ridurre la sofferenza psicologica delle persone non cisgender (qui https://acamh.onlinelibrary.wiley.com/d ... fmIL7PMU09 una review sul tema).

Non vale allora maggiormente la pena ragionare su come possiamo rendere sensato tale uso, proprio a partire dal dato che spesso la disforia di genere si interseca con altre forme di psicopatologia? Come possiamo aiutare gli adolescenti a dare senso a quel che accade loro, come suggeriva Simona (che è stato un piacere re-incontrare in questo forum)? Studiare bene cosa dice la letteratura a tal proposito? Collaborare a studi in questo senso, mettere al servizio della comunità scientifica la nostra competenza clinica e/o di ricerca (anche per confutare i dati esistenti e far così progredire le nostre conoscenze)? A me sembra la via da prendere per "far meglio" dei colleghi SPI, e vorrei che qui si cominciasse a parlare di questo.

Se non esiste già, sarebbe inoltre molto bello aprire un gruppo d'interesse sul tema, e magari sforzarsi a coinvolgere il più possibile persone che hanno posizioni diverse.

Condivido inoltre un altro bell'articolo sul tema https://jme.bmj.com/content/medethics/49/1/65.full.pdf
Maria Marino

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Maria Marino »

Buonasera a tutti!
Credo che sia fondamentale proprio il poter difendere il diritto a esprimere la propria opinione, in "scienza e coscienza". Scusate se torno in modo pedante (poi mi taccio) sulla questione - sembro Nanni Moretti in "Palombella Rossa" quando urlava alla giornalista "Le parole sono importanti!!!" 😁
Scusate davvero, ma devo tornarci, proprio a difesa delle bellissime mail che sto leggendo qui.
Il problema della lettera di Thanopolus sono davvero, a mio avviso, le parole che ha scelto di usare, poco accurate, fuorvianti, cariche di informazioni sbagliate. E inevitabilmente questo veicola un significato. Credo che ognuno di noi abbia la responsabilità delle parole che sceglie, ancora di più se riveste una carica di rilievo in una società culturale o scientifica. Focault, che ho sentito citare in modo bellissimo in questa mailing list (e grazie pure per questo) diceva anche che non c'è verità più forte di quella che può stabilire un sistema di potere. E credo che, a maggior ragione, questo sottolinei quanto è importante il vincolo etico e di accuratezza scientifico - tecnica che deve legare chi fa il nostro mestiere a una scelta onesta e responsabile delle parole utilizzate. Per questo credo che - e ringrazio il Prof. Carcione per il feedback diretto e lo spirito della sua mail, prima di tutto andasse fatta una "correzione" agli errori contenuti nella lettera di Thanopolus. Credo, quindi, che il primo passaggio doveroso fosse questo, e perciò condivido l'iniziativa delle associazioni di rispondere alla lettera, correggendone, appunto, le inesattezze.
Questo non vuol dire, a mio parere, negare la possibilità di un dibattito che invece è necessario!!! Perché se così fosse sarebbe terribile.
Ho trovato gli errori della lettera di Thanopolus molto "politici" ed "ideologici", dato il significato che inevitabilmente veicolavano; ma sarebbe altrettanto soppressivo e antiscientifico pensare di non poter parlare senza correre il rischio di sembrare "no gender" o "anti-inclusivi". Il dibattito che si è aperto nella mailing list è bellissimo, rispettoso. Il senso per me è proprio questo: conservare e difendere la libertà di potersi esprimere, nel rispetto di una prassi scientifica e di divulgazione corretta, per poter migliorare procedure, a tutela sempre della salute della persona e nel rispetto, sempre, di evidenze che vanno monitorate e verificate costantemente.
Mi piace molto la prospettiva di riflettere, come dice la collega Marianna Liotti, di "farci domande", di studiare se gli approcci sono giusti, di creare gruppi di interesse specifici. Credo che sia molto costruttivo e forse, a questo punto del dibattito, certo di più della questione del "lessico" che mi sta tanto a cuore, e per cui mi scuso ancora di essermi ripetuta.
Nel dibattito aperto leggo davvero il desiderio e la necessità di uno scambio costruttivo.
Ho imparato e tratto spunti da ogni parola letta qui. Grazie davvero a tutti!!!
Buon sabato!
Maria Marino
Ospite

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Ospite »

Ai colleghi, salute.
Avevo enucleato tre questioni che sottostanno a questo dibattito, la prima delle quali ha un dominio di gran lunga più esteso della questione specifica dell'effetto dei puberty blockers, unica sulla quale si possono portare "prove scientifiche".
Come ben potete sapere, capire e riflettere, quello che è in questione è il cosiddetto "transumanesimo", vecchio sogno nichilista. (Consultare la voce su Wikipedia per i pigri).
All'interno del movimento e con riferimento al tema specifico, Furio Lambruschi rivolge un' accorata riflessione a NIno Carcione e, a tutti noi, la evidenza di una direzionalità a questo processo imposta attraverso la persuasione.
Dice Furio:... "ma in realtà i gruppi che, a livello sovranazionale stanno “democraticamente imponendo” questo tipo di ideologia e di pensiero unico inattaccabile (tanto da far sentire in imbarazzo nell’esporsi un riconosciuto e attrezzatissimo narcisista come Giancarlo ;-)), hanno come obiettivo esplicito proprio quello di trasformare gradualmente il nostro linguaggio, per “educare” le nuove generazioni a questo tipo di “accettazione inclusiva”".
E a questo proposito vorrei citare nuovamente Foucault per dare il senso della portata della battaglia in corso. Dice Foucault al termine del suo libro "Volontà di sapere": "Per millenni, l'uomo è rimasto quel che era per Aristotele: un animale vivente e, inoltre capace di esistenza politica; l'uomo moderno è un animale nella cui politica è in questione la sua vita di essere vivente. pag 127". Quello a cui stiamo assistendo è "L'ingresso della zoe nella sfera della polis , la politicizzazione della nuda vita" (Agamben: Homo sacer, pag 19).
Carissimi colleghi timorosi della politicizzazione: QUESTA E' POLITICA. Se partecipate state da una parte o dall'altra di questa immane contesa. Ha ragione Maria Marino.
Caro Giancarlo non il tema nurture/nature, caro Nino non quello degli asterischi sono in questione ma nientemeno che la manipolabilità da parte di chi ne ha il potere dell'essere umano fin nelle sue strutture biologiche e la legittimazione e il consenso che vuole costruirsi.
Caro Furio, il problema per chi si espone non è di essere considerato "fascio" ma di essere etichettato come un terrapiattista, complottista etc. e come tale espulso dalla "comunità scientifica" la cui patente di accesso è inchinarsi ai dettami di AIFA, comitati etici, riviste indicizzate, FDA, APA, Big farma etc.
State bene.
Angelo Inverso
Federico Dibennardo

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Federico Dibennardo »

Gentilissimi, con l’estrema felicità nel constatare che questo tema sia stato potato all’attenzione della SITCC, vorrei con voi condividere alcune considerazioni constatando come dal tema iniziale ci si sia discostati ai temi di genere nella loro totalità.

Sento il bisogno di portare in questo dibattito la mia persona, prima ancora che la mia professionalità. Il mio essere parte della comunità LGBTQ*, il lavoro svolto negli anni di attivismo, credo che sia un fattore che potrebbe essere molto più arricchente in questo dibattito più che le mie abilità concettuali di giovane specializzando. Mi perdonerete quindi spero le opportune inesattezze o generalizzazioni rispetto ad alcuni temi più opportunamente sviluppati.

Noto che il discorso si sta sviluppando molto sulle considerazioni cliniche, più che di letteratura sul tema. Come è comprensibile, sapendo la poca letteratura che effettivamente abbiamo sul accumulato su queste tematiche.

Se da clinico mi trovo più che concorde con molti di voi nell’individuazione di enormi temi di sofferenza e complessità, spesso di disturbi di personalità e traumi dietro la mera difficoltà, forse più facilmente comprensibile nella società odierna, di disforia di genere, da persona parte di questa comunità devo far notare alcune realtà che nei nostri studi spesso non entrano. 

Mi chiedo e vi chiedo; nei discorsi squisitamente di matrice clinica in cui ognuno di noi riporta le proprie perplessità rispetto a temi speicifci quanta rappresentazione di determinate realtà ci perdiamo? Credo che comprenderemo tutti che la realtà sociale sia infinitamente più diversificata da quella che si possa osservare clinicamente fra i nostri pazienti.
Tutti noi in questa conversazione ci muoveremo sulla base anche di opportuni Bias di rappresentatività che muovono le nostre personalissime visioni del mondo e della realtà, la domanda che pongo è: cosa sfugge alle nostre personali osservazioni cliniche rispetto ai temi di genere?

Mi sembra ad esempio di perdere la rappresentazione di amici, parenti, colleghi, persone che ho potuto conoscere nelle mie attività volontario di anni che qui mi sembrano stonare dalle rappresentazioni che qui stiamo delineando di questa sofferenza.

Persone che con una diagnosi di disforia di Genere, successivamente ai percorsi di transizione, ritrovano una serenità che permette loro di proseguire la loro vita in serenità, con equilibrio e grande consapevolezza. Persone che intessono relazioni sane, regolate, che seguono percorsi di terapia che ne migliorano le abilità introspettive e sociali. Persone che trovano una terapia adeguata al loro disagio manifestato, come inoltre riportato più volte dalla letteratura. Allego una importante Review che certifica proprio come la terapia di transizione, nello specifico la Puberty Blockers, abbia importanti dati di efficacia che credo non dovremmo trascurare. 
Non è infondo questo quello che dovrebbe muoverci oltre alla comprensione dei fenomeni di sofferenza? L’efficacia dei percorsi di cura che proponiamo ai nostri pazienti? 



L’articolo: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33320999/ 

Vorrei provare inoltre a chiarire alcuni aspetti rispetto ai temi del genere provando a rappresentare in questa fase i movimenti LGBTQ*.

Nessuno, nella comunità LGBTQ, considera o vorrebbe considerare il genere come artefatto meramente o prettamente culturale, anzi! La connotazione dei temi di disforia di genere parte dalla concezione opposta mi verrebbe da dire, una spinta interna ed interiore, la percezione soggettiva e personologica di una incongruenza tra il proprio sesso biologico ed il proprio modo di vedere e vivere la propria persona. Questo non significa tradire la biologia di genere ma considerarne la varianza nella sua espressione. È biologia accettare che il corpo ed i geni si esprimano in modalità estremamente variabile e ancora non sempre comprensibili per noi esseri umani. E’ inoltre importante distinguere il tema dell’identità di genere con quello dell’espressione di genere, questo particolare aspetto è oggetto dei Gendere Studies, ovvero il modo in cui esprimiamo il nostro genere all’interno della società che non ha nulla a che vedere con l’identità di genere. 
Mi sembra inoltre che in parte venga considerato come implicitamente assodato il tema del determinismo biologico, tesi invece attualmente fortemente dibattuta nelle discipline biologiche (Lewontin uno fra tutti) che iniziano a parlare di relazione reciproca tra organismo e ambiente e non lineare; Non più l’organismo che determina il suo ambiente ma relazione reciproca di influenza tra loro.



Mi chiedo cosa stiamo portando alla nostra attenzioni e quali motivazioni muovano le perplessità che ci stiamo ponendo, siamo preoccupati che i percorsi di cura che si stanno proponendo non siano adeguati oppure cerchiamo di determinare le cause della sofferenza individuale sostituendoci ai pazienti nel loro percorso di cura? 

Vi ringrazio per la vostra attenzione

Dott. Federico Dibennardo
Psicologo Clinico
Formatore e Borsista di Ricerca
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