Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

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Giuseppe Dimaggio
https://www.youtube.com/channel/UCYEG-tsioNZ1TDK3B9Y1g7g

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Giuseppe Dimaggio »

Presidente Fabio e direttivo, pensiamo a una lettera ufficiale firmata da presidente, direttivo ed eventuali probiviri e probefemmine? Io la firma ce la metto volentieri,
Giancarlo
Giuseppe Dimaggio

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Giuseppe Dimaggio »

Ciao Federico (Dibennardo),
tu non hai idea quanto mi faccia piacere il tuo intervento, sia come membro della comunità LGBT sia come giovane specializzando (intelligente). Poi ti conosco e so che hai una capacità non comune di dibattere in modo equilibrato e non ideologico.
Vado su alcuni punti che sollevi: che la comunità LGBT non neghi l'importanza del sesso biologico, onestamente non ci credo. Quando leggerò membri della comunità esprimersi in maniera chiara e netta contro l'espressione "assegnato maschio o femmina alla nascita " cambierò idea. La lettera combinata delle associazioni mediche più OdP era imbarazzante nella sua violazione della logica: la disforia di genere non è l'incongruenza tra il genere percepito e il sesso biologico ma tra quello percepito e quello assegnato alla nascita". Quindi c'è l'intenzione esplicita di cancellare la biologia.
Alcuni dati epidemiologici sono poi semplicemente assurdi. In questo articolo appena uscito sul New England Journal of Medicine (sì, esatto, lì), riporta che disforia di genere sia presente nel 2-9% della popolazione. Ora, che un dato del genere sia insensato non ci vuole un genio a capirlo. Che, l'evoluzione ci ha messo milioni di anni per mettere quasi un umano su 10 nel corpo sbagliato? E tutto questo si manifesta... all'improvviso?
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/N ... ed_article
Ci vuole un genio per capire che è un fenomeno di contagio sociale, pari all'isteria, alle epidemie di suicidi, al momento degli emo con tutta la moda del self-harm o sulla capacità di contagio che hanno i disturbi alimentari tra gli adolescenti?

Poi nello stesso articolo evidenziano l'efficacia psicologica dei puberty blockers, in una popolazione di giovani seguiti con approccio multidisciplinare. Ora, santa pazienza, stiamo parlando del NEJM. Che i reviewer sono diventati incapaci di chiedere agli autori una domanda semplice: belli de casa, voi avete somministrato un farmaco, ok, ma in una popolazione che è seguita da team superaccoglienti, specializzatissimi e pure sensibili al tema. Come fate a dire che il miglioramento psicologico sia ascrivibile ai puberty blockers? Per altro è uno studio a braccio singolo senza braccio di controllo né randomizzazione. Gli effetti collaterali fisici non sono calcolati. Stiamo parlando del NJEM. Uno studio in qualsiasi altro campo della medicina sarebbe stato rejected ma pure male. Perché è stato accettato? Io, a parte la pressione politica della associazioni attiviste motivi non ne vedo. Cioè, ne vedo. Diciamo che io da produttore di puberty blockers avrei un certo interesse a spingerne l'assunzione nei ragazzi, molto di più che una semplice psicoterapia. Vecchia storia nel nostro campo no? Tanta ricerca sui campi e 4 spicci alla psicoterapia. Direi che attivismo e mercato possono avere un ruolo congiunto ma, va da sé, è solo un'ipotesi.

Tu dici giustamente: molti ragazzi beneficiano del trattamento e ci sono i risultati. Sì, certo, lo so, ed è bello che sia così. Ma gli studi sono pochi e soprattutto su una cosa così che cambia il fisico in fase puberale in modo irreversibile attraverso gli ormoni e attraverso trattamenti chirurgici, ci vorrebbero follow-up lunghissimi.
Nessuno mette in discussione che sia una linea del processo di cura necessaria, per molti indispensabili, e che darà una speranza di salute a ragazzi che in passato non ne avrebbero avute.
Il problema è la violazione violenta (è voluta l'allitterazione) di alcune norme logiche, procedurali e di buon senso. Che i ragazzi possano accedere a cure mediche senza l'approvazione del medico e del genitore, come sta accadendo in Spagna e Scozia è inaccettabile e pericoloso. Che si scriva "assegnato coso alla nascita" è insopportabile.
Che uno psicoterapeuta che vede un ragazzo che si definisce trans o non-binary si chieda, come buon senso clinico vuole: "ma non è questo non è un problema in sé ma è l'espressione di un disturbo della personalità o della coscienza o di tutte e due (vedi mail di Furio)" e debba anche solo vagamente preoccuparsi di sentirsi dare del fascista transfobo è qualcosa che io non avevo mai osservato prima nella mia professione. E in questo, Federico, il transattivismo ha un ruolo fondamentale. Poi sai meglio di me quante colleghe e colleghi che sono su IG della tua generazione la pensino così ma sui social non lo scrivano. Perché hanno paura della shitstorm e di perdere follower. Usano gli * senza crederci perché hanno bisogno di follower e se non li usano li perdono o sono oggetto di critiche anche aspre.
Ecco in questo clima ragiono meno sereno e reclamo il mio diritto di professionista di fare il mio lavoro con competenza senza dovere pensare a chi strilla, urla, solleva cause e minaccia e ti accusa di fare terapia di conversione.

Se invece io, clinico, fronteggiassi una situazione del tipo: "ok, ci sono ragazzi che si sentono di un sesso differente da quello biologico, osserviamoli, accompagniamoli, lavoriamo su eventuali patologie sottostanti, e santa miseria, aiutiamoli a stare meglio col loro corpo, e se servono ormoni e chirurgia che ormoni e chirurgia siano" io sarei felice, sereno e fiero di vivere in una società in cui una persona trans ha finalmente la possibilità di vivere una vita in piena luce inserita nel tessuto sociale come è giusto che sia. Sarei felice di scandalizzarmi e infuriarmi se leggo che Fumetti Brutti riceve commenti di odio sulla sua pagina (per chi non lo sapesse si tratta della scrittrice trans di Graphic novel Josephine Yole Signorelli).

Ma le cose stanno così. Io ho passato la vita a rompere le palle a tutti, psicoanalisti e cognitivisti e non ho mai avuto paura delle conseguenze. Stavolta prima di prendere questa posizione ci ho pensato un anno e mezzo.

So che vogliamo la scienza tutti e due, Federico, ti conosco. Esiste l'omofobia? Sì. E' necessario superarla? Cavolo sì e tanto bisogna fare. Esiste l'attivismo punitivo e stalinista da parte della comunità LGBT (e non solo)? Sì, tanto, sta minando, insieme ad altri movimenti, il funzionamento delle università anglosassoni.

Federico, so che i miei toni sono abbastanza accesi e sicuramente non ho messo abbastanza in risalto le parti preziose della tua mail in cui pone l'enfasi su un lavoro che aiuta molti ragazzi e, ad alcuni di loro, salva la vita. Lo so, lo vedo ed è un lavoro prezioso.
Un abbraccio,
Giancarlo
Simone Cheli

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Simone Cheli »

Credo che il tema richieda dati solidi per prevenire quello che tutti concordiamo voler evitare (posizioni ideologiche) ma in cui spesso tutti noi cadiamo. In particolare se vi è desiderio di una presa di posizione ufficiale della SITCC, che quindi dovrebbe rappresentare tutti i soci e auspicabilmente indirizzare il dibattito verso un sentiero scientificamente e clinicamente sensato. Come suggerivano alcuni colleghi, sembra che il dibattito sia andando ben oltre i Puberty Blockers. Dunque o aumentiamo di molto gli studi su cui riflettere o il rischio di prese di posizioni ideologiche è elevato.

Mi permetto di condividere alcuni dati che penso possano favorire la discussione. Mi limito a systematic reviews e meta-analisi (in calce i link ai papers)

1) Puberty blockers: i dati sono pochi (la più recente review passava in rassegna poco più di 500 soggetti) e quasi nessuno di lungo termine. I risultati mostrano un miglioramento di importanti outcome psicologici (riduzione distress e rischio sucidario, aumento funzionamento sociale) e un peggioramento di importanti outcome fisici (riduzione della crescita ossea e dell'altezza, alterazione massa grassa).

2) Tassi di suicidi: negli stati uniti il suicidio è divenuto la seconda causa di morte nella fascia di età 15-24. In Italia i dati sono assai frammentati. ISTAT riporta dati su adolescenti solo fino al 2017 (trend in discesa a partire dagli anni 90' per quanto poco attendibili visto poi vi è stata una pandemia). Molti studi internazionali riportano da molti anni tassi più elevati di suicidalità nei transgender rispetto ai cisgender.

3) Salute mentale nei transgender: varie review suggeriscono come il ricorrente stigma nei confronti dei transgender abbia effetti diretti e indiretti sulla salute non solo psicologica ma anche fisica. Le review su differenze nelle diagnosi psichiatriche tra transgender e cisgender portano come dato solido una maggiore prevalenza nei primi di disturbi di ansia, depressione e sonno.

4) Ripensamenti sulla chirurgia: una recente review ha indagato la presenza di regrets rispetto alla chirurgia. La quota di persone che hanno rimpianti sono stimate tra <1% e 2%. Si rilevano vissuti soggettivi diversi (anche negativi) rispetto all'esperienza.


Non sono certo un esperto del tema (e mi auguro che chi si occupa del tema intervenga nel dibattito e ci zittisca), ma osservando i dati non è possibile sostenere una relazione causale tra disturbi psicologici e scelta di terapie chirurgiche o ormonali. Sicuramente è sostenibile un'associazione tra sentirsi transgender, sofferenza emotiva e stigma sociale. E sicuramente non abbiamo dati sui rischi di lungo termine conseguenti all'assunzione dei puberty blockers. Infine, non abbiamo nessun dato su un presunto fenomeno di contagio psichico connesso all'esposizione a contenuti mediatici transgender. Alcuni anni fa dopo l'uscita di una serie tv in cui si parlava di suicidio (13 reasons why) vi fu un acceso dibattito, con alla fine un dato riportato da uno studio: ad aumentare non erano gli agiti suicidari ma le telefonate ai telefoni di aiuto psicologico. Di nuovo, senza dati restiamo su ipotesi assai vaghe. Se qualcuno è a conoscenza di dati specifici sarei ben lieto di leggergli.

Detto questo, è bene ricordare che spesso per ragioni etiche non vengono condotti trial su minori o sono condotti solo campioni esigui, facendo sì che numerose farmacoterapie psichiatriche e non siano "sperimentali", ovvero dedotte primariamente da studi su altri campioni. Una vasta review pubblicata dal World Journal of Psychiatry (5) ci dice che sui minori abbiamo pochissimo sugli effetti a lungo termine (>6 mesi) degli psicofarmaci: nessun RCT e pochissimi studi di coorte. Ed addirittura una review delle systematic review esistenti (6) arrivava a dire che viste le minime evidenze in favore delle psicoterapie per bambini un "watchful waiting" sia forse meglio.

L'ideologia ama confondere correlazione e causazione, nonché relazioni dirette con indirette. So che almeno Giancarlo leverà i suoi scudi contro ogni accenno al minority stress, ma direi che abbiamo alternative un po' più complesse rispetto a "tutto minority stress" vs "che ce ne cale del minority stress"!


Simone Cheli



Links

1)
https://acamh.onlinelibrary.wiley.com/d ... camh.12437

2)
https://connect.uclahealth.org/2022/03/ ... ng-adults/
https://www.istat.it/it/files//2020/12/C04.pdf
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7011156/

3)
https://www.sciencedirect.com/science/a ... U5C0YCWb7V
https://www.thelancet.com/journals/lanp ... X/fulltext

4)
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8099405/

5)
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7215080/

6)
https://doi.org/10.1111/jcpp.13677
Giuseppe Dimaggio

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Giuseppe Dimaggio »

Simone infatti non è detto che la sofferenza maggiore dei transgender e dei"nonbinary" sia causata dal minority stress. È sicuramente un fattore ma ora che essere nonconforming è figo tra gli adolescenti inizia a convincermi meno. E cmq è solo un fattore possibile.
Gli studi su utilità psicologica dei puberty blockers non tengono conto del peso della assistenza psy che ricevono. Cioè tu non prenderesti sul serio uno studio su uno psicofarmaco nuovo dato a gente che fa 3 sedute di psicoterapia a settimana e dice però che efficacia è merito del farmaco. Perché non tieni anche qui il rigore metodologico che hai di solito
I tassi di regret fanno riferimento ai trans "veri" della generazione precedente. Che siano lo stesso oggi è tutto da vedere. I ragazzi che vogliono fare detransition sono soggetti a pressione sociale tremenda nella loro comunità. È molto probabile che molti vogliano tornare indietro ma hanno paura dell'ostracismo.
Ti prego non mi diventare woke pure tu
Giancarlo
Gabriele Einaudi

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Gabriele Einaudi »

Un saluto a tutti,

sono tanti i messaggi di risposta al topic proposto da Giancarlo che come spesso accade accende discussioni contribuendo ad alimentare il dibattito scientifico all'interno della nostra Società. Discussione scientifica che però prende spunto da una lettera di Sarantis Thanopulos che ha altresì sicuramente una connotazione politica rispetto a tempi, modalità e destinatario a cui è stata proposta. In ogni caso Angelo Inverso ce lo ricorda: questa comunque è politica.

Rilevo anche io nella clinica che vi sia un numero notevole di giovani in età (pre)adolescenziale in cui il tema dell’identità di genere viene portato nel colloquio talvolta in modo sofferto talvolta in modo tangenziale agli obiettivi della terapia. Di questi molti solo in pochi soddisfano i criteri nosografici della disforia di genere. Molti, pochi, ma quanti per davvero? E poi mi chiedo quanto sono realmente utilizzati i farmaci puberty blockers in questione? Quanto la dimensione del problema è ideologica? Fare ricerca e avere i dati aggiornati a disposizione è sicuramente necessario.

Mentre scrivo leggo Federico Dibennardo, che ringrazio per la nota anche personale, che approfondisce il tema e ci esorta a non rischiare di perdere rappresentazioni magari a molti di noi meno disponibili, ma sicuramente importanti.

Per quanto riguarda la Text Revision del DSM 5 il “natal male” to “individual assigned male at birth” and “natal female” to “individual assigned female at birth” credo sia maggiormente inclusivo ad esempio delle persone intersex le quali biologicamente differiscono dalla norma binaria. Questo aspetto è da considerare. D’altra parte è solo tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso che l’omosessualità non è stata più considerata un disturbo. Non tanto tempo fa quindi e con l’opposizione di più studiosi e istituzioni. Se c’è un accellerazione sull’inclusività non dovrebbe dispiacere ad alcuno.

L’uso degli asterischi o ad esempio la specificazione dei pronomi in una e-mail o in atro testo possono essere utilizzati? Ognuno sia libero di scegliere come preferisce. Spero in ogni caso che nessuno finisca nel sentirsi a disagio nel farlo oppure no.

Tornando alla lettera motivo della discussione, concordo con Marianna sulla necessità di intervenire su come possiamo rendere sensato il più possibile l’uso dei farmaci in questione.

Mentre scrivo continuano ad arrivare interventi. Simone Cheli, esprime meglio delle mie righe molto di ciò che volevo comunicare. Minority stress e, aggiungo io, anche omofobia interiorizzata sono aspetti su cui ognuno deve fare i conti con se stesso e poi nella pratica clinica.

Gabriele Einaudi
Laura Ferrari

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Laura Ferrari »

Ringrazio Simone Cheli per aver dimostrato come non sia difficile uscire dal ginepraio del dibattito ideologico
I dati aiutano parecchio soprattutto se si vuole restare in un ambito scientifico.
Giuseppe Dimaggio

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Giuseppe Dimaggio »

"Per quanto riguarda la Text Revision del DSM 5 il “natal male” to “individual assigned male at birth” and “natal female” to “individual assigned female at birth” credo sia maggiormente inclusivo ad esempio delle persone intersex le quali biologicamente differiscono dalla norma binaria"

Maschio e femmina sono i termini da usare. Poi per chi è biologicamente intersessuale si può usare la specifica "assegnato" perché è l'unico caso in cui il rappresentante della cultura interviene. Se volessimo proprio metterci il ruolo della percezione umana sarebbe: "constatato maschio o femmina".
Il resto è nonsenso basato sulle assurdità della biologa Anna Fausto -Sterling e della filosofa Judith Butler. Filosofa che fa rabbrividire qualunque cognitivista senziente. Per favore torniamo coi piedi per terra che è la forma migliore di rispetto e inclusività che io conosca

Giancarlo
Simone Cheli

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Simone Cheli »

Rispondo a Giancarlo. Come sottolineato nel mio precedente commento i dati sui Puberty Blockers sono limitati e poco solidi. Dunque direi concordiamo su questo punto. Non vi sono solide evidenze né in un senso né in un altro.

Il dubbio che ho è piuttosto su cosa suggerisci a SITCC di prendere posizione. Se restiamo sullo specifico dei Puberty Blockers sarebbe di interesse un ragionamento clinico su come informarne "psicologicamente" l'uso/non-uso (vari suggerivano questa idea). Anche se personalmente ho poco da aggiungere se non riflessioni generali non essendo un esperto del tema ed essendo il tema estremamente specifico. Se SITCC costituisce un tavolo di esperti sarò ben felice di ascoltare i loro commenti.

Se la presa di posizione riguarda tutto il contorno, entriamo (credo) in una prospettiva politica o quanto meno sociologica. Dico questo non perché non voglia turbare chissà quale lobby stalinista come le definisci tu. Piuttosto, da un lato i dati per sostenere che l'essere esposto a lobby politically correct, staliniste, sanculotte o maoiste porti (o no) ad un rischio maggiore di avviare una transizione o interromperla mi sembrano assenti (se avete studi condivideteli!) e/o aspecifici (influenza dei pari e attrazione per posizioni non-conformi negli adolescenti). Dall'altro, credo siamo nel mezzo di un cambiamento culturale (vedi il temuto asterisco e i suoi oscuri alleati) e quello che a noi suona strano a tutti i millennial suona usuale (su questo abbiamo dati senza al solito alcuna direzione causale). E visto il futuro è loro tendo personalmente al lassaiz faire.
Federico Dibennardo

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Federico Dibennardo »

Caro Giancarlo, ti ringrazio per le belle parole che hai speso per me.

E’ proprio in virtù della stima reciproca che sento nei tuoi confronti e della SITCC che sento il bisogno di portare il mio contributo. 




Mi dispiace che i toni del dibattito fuori da questo contesto, prima sociale che clinico, si accendano a tal punto da intimidire l’espressione del proprio pensiero e dei propri ragionamenti clinici sul tema, voglio però sottolineare come questo sia probabilmente segno di un dibattito esteso che da entrambe le parti spesso trova una forma aggressiva di sfida ben diversa dai toni adeguati e assertivi che meriterebbe. Io stesso, in senso contrario, non mi sono sempre sentito libero di esprimere la mia opinione. Potrei elencare esperienze negative quasi quotidiane ma non sarebbe opportuno. Dico questo perchè credo sia importante osservare che ci si trovi, spesso, sotto il fuoco incrociato e si perda l’obiettività della discussione. Perderemmo molto ad esempio se cedessimo nella retorica del “noi” e “loro”, cadremmo in un ragionamento rigido che non ci consentirebbe di ragionare lucidamente sul tema. All’interno delle stesse associazioni lgbtiq* o Femministe e transfemministe ci sono posizioni molto differenti su molti aspetti, ad esempio. 



Io credo che le criticità e il pensiero che individuate sia da attribuirsi più ad una sensibilità sociale cambiata più che una pressione legata ad una ideologia unica portata avanti da pochi. Credo allora che questo fenomeno meriti di essere osservato più che temuto. 



Tu fai riferimento al tema della biologia parlando dell’assegnazione del genere alla nascita come elemento di lotta per la comunità ma onestamente sento non solo di non indetificarmi in questa lotta ma non ravviso nemmeno che questo avvenga nella mia comunità. L’assegnazione del genere, sulla base di caratteristiche fenotipicamente riconoscibili, è una pratica clinica come molte che oggi ha nomenclature lievemente diverse non perchè si disconosca il ruolo biologico ma per distinguere il sesso biologico dal genere e quindi dalle aspettative sociali che conseguono da quel dato clinico. Non si mette in dubbio il sesso biologico ma le rappresentazioni sociali e legali binarie che se ne fanno. 
Inoltre vi è l’aspetto dell’intersessualità che hai già opportunamente citato tu. 



Quello per cui la sensibilità sociale sembra spingere è l’allargamento della visione binaria e sociale che questo comporta, ma anche qui ha davvero mille sfumature: una persona Queer, ad esempio, non sente di aderire agli stereotipi di genere (anche qui non parliamo del sesso biologico ma il modo con cui noi società traduciamo in termini di rappresentazione il sesso delle persone) mentre al contrario una persona Transgender che richiede un percorso di transizione accetta il binarismo sociale che deriva dalle rappresentazioni di sesso biologico semplicemente sentendo una incongruenza tra quello percepito e quello “assegnato alla nascita” ovvero quello che è stato clinicamente riscontrato in lei. 

Vi è quindi una enorme varietà nelle sfumature soggettive di cui stiamo parlando. 


Ad esempio lo studio che citi, come molti altri, mette insieme pazienti non binari e pazienti trans che hanno modalità di vivere il genere molto differenti le une dalle altre.



E’ vero, hai ragione quando noti che gli studi sono pochi (sopratutto quelli psicoterapeutici) ma come giustamente accennava il collega Cheli dobbiamo stare attenti e astenerci dalle spiegazioni in funzioni di mere correlazioni. 

Mi sembra che tu faccia una correlazione tra l’aumento di casi di persone trans con il fenomeno di contagio sociale. Mi sembra una correlazione da studiare ma con ampie e possibili diverse spiegazioni. 
Cosa dovremmo pensare, ad esempio, di tutti i fenomeni di emersione di disagio registrati in questi anni su altre patologie? I dati sull’aumento dell’incidenza di depressione? Oppure i dati sulle diagnosi di DSA? 
Le spiegazioni potrebbero essere molte, comprese il semplice aumento della sensibilità sociale rispetto al fenomeno o più semplicemente un maggiore riconoscimento clinico del fenomeno stesso. 

La verità è che non possiamo saperlo, tutti questi dati hanno sicuramente aspetti differenti e non mi sentirei di utilizzarli a sostegno di una unica ipotesi di contagio sociale. 


Intervengo sulla questione clinica. Anzitutto credo ci sia una questione su cui avrei bisogno di una delucidazione.

La situazione di Spagna e Scozia che citi non riesco a riscontrarla così come ne parli. Il gender Act consente ai minori di 16 anni di accedere al riconoscimento per la modificazione del sesso anagrafico (quindi i documenti) questo non comporta un percorso diverso da quello di altri paesi da un punto di vista medico. Infatti il consenso medico è necessario, nella maggior parte dei casi anche quello del genitore.




Al contrario invece, ad oggi, la situazione in Italia è ben diversa e come saprai per un minore e non solo (anche se di 16 o 17 anni) non è consentito, salvo rarissime eccezioni, accedere alle cure ormonali o di pubertà Blocker nonostante il parere favorevole della famiglia e le evidenze scientifiche riscontrate. Questi pazienti sono invece inseriti in contesti clinici e di psicoterapia che nella maggior parte dei casi porta, comunque, alla transizione, dopo anni di sofferenza clinicamente significativa. Una volta maggiorenne,il paziente è quasi sempre obbligato dai servizi a seguire la psicoterapia e solo dopo l’eventuale cura ormonale. 
Spesso il riconoscimento legale è vincolato a interventi chirurgici invasivi e non sempre necessari, e quando questo non accade è perchè il paziente ha avuto la possibilità economica di portare in giudizio la propria causa e mettere il tutto nelle mani di un giudice. 



Insomma, ad oggi la prospettiva sanitaria e sociale sembra molto distante da alcuni timori che leggo e a sfavore di una libera autodeterminazione del paziente a trovare le proprie vie di serenità, spesso anche da adulto. 
Riconoscendo la complessità del tema non posso che interrogarmi sul potenziale peso sulla salute del paziente nel permanere in uno stato di sofferenza prolungato contro la sua volontà e richiesta di autodeterminazione. 



Se gli studi che ci sono non sono sufficienti a rivendicare l’adeguatezza di una terapia ormonale a lungo raggio, mentre a breve si, chi sostiene il contrario, quali evidenze riesce a portare a sostegno?


Hai ragione. Gli studi che stiamo citando ad oggi purtroppo non riescono a riscontrare i follow up e dunque la rilevanza clinica a lungo raggio, problema che nella nostra branca direi più che annosa anche su altre terapie. 
Ma la domanda sorge spontanea: per decenni le persone Trans e di minori trans, hanno avuto condizioni cliniche portare all’attenzione della nostra branca, studi di efficacia della psicoterapia priva di terapie ormonali ne abbiamo? Perché durante i decenni in cui la terapia ormonale non era nemmeno nei nostri pensieri e le persone trans portavano, anche da minori, le loro sofferenze nella clinica non si è mai riusciti a certificare, riscontrare empiricamente l’efficacia della sola psicoterapia per il ripristino del benessere del paziente? 

Credo che questi dubbi siano leciti nel momento in cui solo con le terapie ormonali la comunità trans abbia avuto modo di trovare un benessere sociale mai sperimentato. 




Credo che sarebbe davvero bello costruire un tavolo di discussione sul tema, io personalmente sono sempre ben contento di parlarne con te (Giancarlo) perché credo che siano per me molto arricchenti queste discussioni. 
E so che l’interesse di ognuno di noi è il medesimo, trovare vie sempre più efficaci per alleviare la sofferenza oltre che comprenderla.

Le questioni sono complesse e prescindono dalle branche cliniche toccando temi sociali, antropologici, biologici ed etici.
iniziamo a rendere la discussione più sistematica, io ne sarei lieto. 



Dott. Federico Dibennardo
Psicologo Clinico
Formatore e Borsista di Ricerca
Giuseppe Dimaggio

Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni

Messaggio da Giuseppe Dimaggio »

Federico e Simone,
rispondo a entrambi e con piacere perché in modi diversi sapete il grado di stima rispetto e amicizia che nutro per voi. Tradotto anche in collaborazioni effettive (vabbe' con Simone quasi a livelli esagerati).
La mia rappresentazione del problema a livello sociale è più allarmata della vostra, non tanto per quello che avviene in Italia ma per quello che avviene nello scenario internazionale. Ci sono stati professori universitari messi alla gogna e licenziati per avere parlato di sesso biologico, ed è solo uno dei casi dell'insorgenza woke - su questo credo siamo d'accordo che non sia una mia percezione.

Il punto centrale è l'uso dei puberty blockers ma il problema è più esteso ed è il tentativo di violare le regole del discorso scientifico.
Nello specifico dei PB, l'articolo del New England Journal of Medicine è esemplare.
E' un articolo che in un mondo normale sarebbe stato rifiutato ma pure male. Invece è passato con lode.
Ripeto, che all'improvviso 2-9% della popolazione, mischiando insieme due robe diverse, ovvero non-binarismo (che per me è un sintomo dello spettro dissociativo con altissima probabilità) e vero transgenderismo è scorretto. Ma si parla sempre di percentuali irrealistiche. Io sarei felicissimo se la questione sull'importanza del sesso biologico non fosse mai stata sollevata. Perché se uno sta al livello delle rappresentazioni psicologiche, l'identità queer a me va benissimo, non voglio dire che mi ci rivedo pure io ma insomma, che uno si senta sulla pelle caratteristiche maschili o femminili pure che non appartengono al proprio sesso biologico, mi sembra normale. E' la capacità della mente di trascendere il biologico e di entrare nel regno del gioco simbolico. Fosse quello, sarei solo felice di vivere in tempi come questi. Ma quando si perverte il linguaggio e il metodo scientifico per piegarlo a una visione filosofica, quello non mi sta bene. Nello specifico rivolto a Federico: so benissimo che la comunità LGBT è fatta di molteplici anime, e importante le donne lesbiche e bisessuali sono particolarmente critiche con il transattivismo. Ma dovessi dire che vedo tanti della comunità prendere ufficialmente posizione contro le levate di scudi degli attivisti, francamente non mi sembra.

Torno all'articolo. Se un lavoro che dice che i puberty blockers sono efficaci psicologicamente e non tiene conto del fatto che sono persone sono trattamenti psicologici e assistenziali probabilmente di portata enorme - non ne parla - viene accettato, abbiamo un problema di metodo scientifico che ha natura politica. A meno che i ricercatori non si stanno semplicemente rincretinendo e questo è anche possibile.
Se volessimo risolvere la questione la metodologia dovrebbe essere quella della scienza medica (visto che sono farmaci).
Mi aspetterei studi in cui si confrontano 2/3 gruppi 1) solo puberty blockers 2) solo trattamento psicologico senza puberty blockers 3) trattamento combinato. Andrebbero misurati gli outcome psicologici e fisici. Pesati gli effetti collaterali a breve, medio e lunghissimo termine. Perché niente niente se diamo ormoni uno si aspetta un'incidenza maggiore di cancro da qui a qualche decennio. Il tasso di regret andrebbe misurato a livello dell'intent to treat e monitorato per tutto il follow up. L'allegiance bias di questi studi andrebbe controllato in modo inflessibile, perché studi fatti da attivisti rischiano di avere bias molto, molto alti. Magari non ce l'hanno ma il ricercatore esige gruppi indipendenti che controllino.
Sapete meglio di me che il dibattito a livello sociale, ci sono numerosissime fonti giornalistiche, non è così sereno e chi si fa avvocato del rigore metodologico si trova di fronte gruppi di influenza non propriamente pacifici.

Spero di avere chiarito i perché dei miei crucci che nascono dalla questione dei puberty blockers ma riguardano il futuro del mondo scientifico e, Simone, riguarda me e te oggi non solo i ragazzi che crescono. Ultima cosa sul minority stress, che a me pare lo stigma sotto altro nome ma pazienza. Esiste il minority stress/stigma? Sì, certo. Esiste un bias degli studi sulle minoranze in cui tutta la sofferenza è attribuita al minority stress e si trascurano i fattori biologici e di personalità? Ovvio, esiste ed è crescente e a me questo non piace perché è un'altra distorsione del ragionamento.

Spero di essermi chiarito e, forse ancora di più, di essere riuscito a manifestare il rispetto per le vostre posizioni che tanto lo sapete che vi stimo!
Giancarlo
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