Buongiorno,
allego alla presente il comunicato intersocietario di alcune associazioni scientifiche in risposta alle criticità espresse dalla Società Psicoanalitica Italiana rispetto all'uso dei bloccanti in adolescenti con Incongruenza di Genere. Le evidenze scientifiche aiutano il dibattito
saluti
Margherita Graglia
Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
Moderatore: DAILA CAPILUPI [3284]
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Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
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Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
Caro Simone,
grazie per il tuo contributo, come sempre concettualmente chiaro e documentato. Sebbene, come dicevo nel mio precedente intervento, su aree di riflessione clinica di questo tipo, tenere gli aspetti ideologici lontano dai dati è una fatica incredibile.
Caro Federico
Grazie davvero anche a te, per la sensibilità, l’esperienza e l’equilibrio che hai portato in questa discussione. Sarebbe bello che fosse sempre così in questo ambito.
Parto dal finale per me un po’ triste della comunicazione di Simone: “… credo siamo nel mezzo di un cambiamento culturale (vedi il temuto asterisco e i suoi oscuri alleati) e quello che a noi suona strano a tutti i millennial suona usuale (su questo abbiamo dati senza al solito alcuna direzione causale). E visto il futuro è loro tendo personalmente al lassaiz faire”.
Un aspetto che anche Federico ribadisce più volte parlando di una sensibilità sociale mutata, che vale la pena di essere osservata più che temuta.
Che siamo in mezzo a cambiamenti culturali importanti non c’è dubbio, è un dato di fatto che tutti osserviamo, ma, ti assicuro, come dice anche Giancarlo, non tutti allo stesso modo: alcuni felici, altri meno, alcuni attivi ed entusiasti, altri preoccupati, alcuni inermi e passivi, altri arrabbiati. Credo che tenere attiva un po’ di mentalizzazione in terza persona sia la base per ogni tipo di discussione. Non diamo per scontato che questa prospettiva sia vista come positiva per tutti.
Comunque sia, e comunque la si pensi, qualora individuassimo in questo cambiamento, insieme agli innegabili vantaggi, anche alcuni effetti collaterali o addirittura danni nei nostri giovani, io non troverei particolarmente etico adagiarmi sul lassaiz faire.
Se è vero, come è noto, che il GIDS (Gender Identity Development Services) del mitico Tavistock Centre, cesserà presto di operare per decisione governativa, in seguito a una inchiesta indipendente che ne ha denunciato l’inadeguatezza dei servizi offerti e le forti criticità, vuol dire che alcune cose, se ci si mette con serietà e impegno, si possono cambiare. Converrete che questo è un importante segno di un mutamento di rotta. E se le faccende avevano preso una così brutta piega in un servizio come quello, in un contesto culturale come quello britannico, figuriamoci quali livelli di attenzione è utile tenere attivi nella caoticità del nostro contesto culturale, sanitario e normativo.
Nel 2021-22 le richieste alla Tavistock erano balzate dalle 250 degli anni passati, alle oltre 5.000. Lo staff della Tavistock è stato accusato di aver adottato un atteggiamento superficiale con un incoraggiamento indiscriminato verso la prospettiva di una transizione di genere anche di fronte a casi d’incertezza, più o meno fisiologici in adolescenza, rispetto alla propria identità. Tra i casi più problematici emersi, anche quelli relativi a minori con disturbi dello spettro autistico avviati alla riattribuzione di genere. Un approccio che ha suscitato crescenti resistenze nel mondo medico e in quello politico ma anche nei media e in settori del femminismo britannico che contestano la propaganda sull’autodeterminazione di genere (il cosiddetto "self-id").
Interessante che nel giro di pochi anni la disforia di genere abbia subito anche in alcune strutture nostrane un incremento, circola voce, del 315%! Con umile atteggiamento scientifico (quello che dovrebbe informare la vera Scienza basata sul dubbio e non sulla certezza dogmatica), piuttosto che annunciarlo “orgogliosamente” come mi pare stia già accadendo da alcune parti, non sarebbe meglio interrogarci bene sui fattori che hanno portato a questa impennata stile Tavistock? Al di là certo di una migliore accoglienza che facilita l’accettazione e quindi l’accesso, non sarà che si va costruendo anche qui su alcuni gruppi di bambini e di adolescenti una particolare pressione sociale su questo tema (concordo, Federico, che non ci sono dati su questo, ma sai bene che i dati si trovano solo quando uno accetta di interrogarsi su un problema, altrimenti non verranno mai fuori) e, magari anche percorsi d’accesso e diagnostici, non sempre, diciamo, “ortodossi”? Accanto a quelli che tu giustamente sottolinei come “anni di sofferenza clinicamente significativa” in questi percorsi, purtroppo troviamo anche quotidiani riferimenti a percorsi piuttosto raffazzonati e sbrigativi.
Mi pare che l’interesse di tutti sia: guardiamoci bene, avendo come unico obiettivo il benessere di questi ragazzi, soprattutto dei minorenni. E in questo senso, credo che in una società scientifica possa, anzi debba esserci un dibattito non solo sulla valutazione clinica degli interventi ma anche sulla valutazione di come si crea quella popolazione che è portatrice della domanda di cura.
Anche negli Stati Uniti, com’è noto, il campo del conflitto è particolarmente elevato: anche là alcuni Stati hanno emanato restrizioni all’uso dei puberty blocker; curioso poi che negli ultimi anni (volendo shiftare su una questione apparentemente più “leggera”), molti stati abbiano vietato agli studenti transgender di competere in squadre sportive scolastiche che non si allineano con il “sesso loro assegnato alla nascita”, ovviamente con grande sollievo delle e degli atleti “allineati”, laddove in precedenza nessuno si azzardava neppure a riconoscerlo come un problema da affrontare e da normare. Perché oggettivamente lo e si dovrebbe poterne parlare con tranquillità.
Voglio dire, insomma, caro Simone che quando agli umani è consentito di discutere, di uscire da una prospettiva ideologica che è data aprioristicamente per vera e scontata e di riattivare un minimo di coscienza critica, eventuali storture possono essere riconosciute e cambiate. Mi pare del tutto comprensibile, come tu dici, che ai millennial suoni ormai usuale tutto ciò che a noi invece suona un po’ strano. Ma il fatto che lo trovino usuale, ti garantisco, non significa che tutti lo trovino giusto. Se proprio nelle nazioni in cui ci sono state le maggiori “fughe in avanti” sulla questione transgender, si stanno registrando i maggiori ripensamenti, vuol dire che chi ha sperimentato alcune particolari conseguenze di tali “progressi” si è accorto di alcuni effetti collaterali e sta cercando di porvi rimedio. E lo si può fare con equilibrio e senza estremismi. Perché noi dovremmo “lasciar fare”?
E poi, forse proprio perché non siamo più giovani, penso che potremmo offrire il modesto contributo della nostra storia, ma soprattutto di quella non poca esperienza che abbiamo messo insieme in decenni di attività clinica. Per quella che è la mia visione culturale e professionale (del tutto personale e parziale ovviamente), devo dirvi sinceramente che nutro molti dubbi su ciò che sta accadendo nella nostra “contemporaneità”, come la definisce Laura. Capisco bene “che si stanno cercando modi e spazi per consentire a ogni identità di avere diritto di esistenza, attraverso linguaggi inclusivi in cui ogni identità debba essere considerata una delle opzioni del possibile”. Ma se a questa buona intenzione non poni adeguati limiti nelle sue derive più estreme, io credo che assisteremo a drammatiche ricadute sul piano evolutivo e identitario. Se non recuperiamo alcuni paletti alla tendenza estrema del “va bene tutto”, dovremo fare i conti con una generazione iper-liquida, ultra-gassosa sul piano personologico, senza più alcun argine identitario, con risvolti e sviluppi psicopatologici che in realtà già vediamo ampiamente nei nostri studi e che anzi dovremmo avere un po’ più il coraggio di dichiarare.
Venendo ai dati. Riconosci, Simone (e Giancarlo chiosa) che sui puberty blockers i dati scientifici soprattutto a lungo termine sono ancora pochi e metodologicamente deboli. Solo questo dovrebbe essere sufficiente a mantenere un atteggiamento prudenziale e lavorare per assicurarci che i percorsi psicologici e medici in questo ambito siano più che attenti e non connotati da incoraggiamento indiscriminato come è accaduto in Inghilterra.
Andrebbero meglio osservati e compresi anche i cosiddetti “detransitioner”, giovani che hanno portato avanti queste procedure e che si sono poi “pentiti”, studiandone attentamente le conseguenze sul piano fisico e psicologico. Ma soprattutto sarebbe interessante capire, tra questi, quanti sono certo quelli “overt”, che arrivano cioè a comprenderlo e ad esplicitarlo in modo chiaro, ma anche quanti sono quelli “covert”, che evolvono con scarsa consapevolezza e nella dolorosa confusione del loro stato.
Sulla maggiore incidenza di disturbi di ansia, sonno e depressione, nonché di suicidalità tra i transgender rispetto ai cisgender (altra parola che dovremmo cercare di capire meglio), credo che non ci siano dubbi. Ma, vivaddio, non saremo noi così ottusi da non ragionare sul significato clinico da attribuire a questo dato. Il tormentone interpretativo è che ciò sia “frutto del ricorrente stigma nei confronti dei transgender”, lettura in parte condivisibile. Ma, come già abbiamo ribadito in tanti, in quanti casi quei sintomi sono invece l’espressione, insieme alla ovvia “gassosità” sul piano sessuale, di disturbi di personalità talmente evidenti da lasciare sbigottiti? Sarebbe bello che i fondi del PNNR (andate a vedere quanti milioni sono dedicati a “progetti” su questa area) fossero dedicati a ricerche cliniche sufficientemente complesse atte a chiarire tali quesiti psicopatologici, piuttosto che a promuovere semplicemente asterischi o “carriere alias” nelle scuole.
Per non parlare poi dei già citati Disturbi dello Spettro Autistico, che quasi per la metà rappresentavano la popolazione in accesso al GIDS (il 35% da moderato a grave e il 13% con manifestazioni lievi). Vogliamo benevolmente immaginare in alcuni casi una co-occorrenza delle due diagnosi? Va bene, anche perché a trovare problemi di “genere” in un ragazzino autistico ad alto funzionamento ci potremmo mettere un attimo. Ma vogliamo anche riconoscere, più banalmente, che nel caso Tavistock alcune istituzioni come Mermaids, Stonewell e Gender Intelligence (ovviamente con tutte le loro buone intenzioni) possono avere "un tantino" forzato verso la diagnosi di DG molti di questi soggetti, perché i bambini con ASD (poverini!) potrebbero avere più difficoltà a esprimere i propri sentimenti riguardo al genere. Ci terrei molto a riflettere insieme su questi aspetti, perché sempre sull’onda di questo trend culturale, diverse associazioni di genitori di bambini con ASD hanno cominciato a parlare di “neurodiversità” e non di patologia per i loro figli, per cui come potete immaginare questa è un’area in cui qualunque pressione ideologica può finire presto per invadere e colonizzare la “neurodiversità”.
Come vedete, su questo ambito non è facilissimo (anzi a volte non è proprio possibile) tenere del tutto separate le questioni ideologiche da quelle cliniche, scientifiche e dai dati di ricerca. E allora che fai, non parli? Per fortuna qui stiamo riuscendo a farlo.
Giancarlo, per rispondere alla tua proposta, io credo che il fatto che non ci siano dati esaustivi su questo ambito, non significa, come mostra questo dibattito, che come Società Scientifica non abbiamo niente da dire e quindi dare il nostro contributo prendendo una posizione equilibrata che riassuma il nostro punto di vista al riguardo, le nostre preoccupazioni e alcune indicazioni in termini di attenzione nella costruzione dei percorsi di cura. Immagino, però, che una iniziativa del genere dovrebbe necessariamente passare attraverso il Direttivo e il Presidente SITCC e la costituzione ufficiale di un gruppo di lavoro che se ne occupi in modo aperto e collaborativo.
Ma soprattutto, penso alla nostra storia e ai nostri maestri, penso a ciò che ci ha sempre caratterizzato come prospettiva scientifica, unitamente al rigore scientifico e alla competenza metodologica e tecnica: cioè la capacità di introdurre il pensiero laddove potrebbe esserci il fare compulsivo, compreso l’agito sul corpo; la capacità di stare insieme al nostro paziente in un’ottica di condivisione emotiva, piuttosto che colludere con l’evitamento esperenziale; la capacità di promuovere la “sospensione dell’azione” per lasciar spazio all’elaborazione e all’attivazione dell’autoriflessività, l’unica preziosa risorsa da cui solo possono discendere scelte meditate e consapevoli.
Grazie per questa preziosa occasione.
Cari saluti a tutti
grazie per il tuo contributo, come sempre concettualmente chiaro e documentato. Sebbene, come dicevo nel mio precedente intervento, su aree di riflessione clinica di questo tipo, tenere gli aspetti ideologici lontano dai dati è una fatica incredibile.
Caro Federico
Grazie davvero anche a te, per la sensibilità, l’esperienza e l’equilibrio che hai portato in questa discussione. Sarebbe bello che fosse sempre così in questo ambito.
Parto dal finale per me un po’ triste della comunicazione di Simone: “… credo siamo nel mezzo di un cambiamento culturale (vedi il temuto asterisco e i suoi oscuri alleati) e quello che a noi suona strano a tutti i millennial suona usuale (su questo abbiamo dati senza al solito alcuna direzione causale). E visto il futuro è loro tendo personalmente al lassaiz faire”.
Un aspetto che anche Federico ribadisce più volte parlando di una sensibilità sociale mutata, che vale la pena di essere osservata più che temuta.
Che siamo in mezzo a cambiamenti culturali importanti non c’è dubbio, è un dato di fatto che tutti osserviamo, ma, ti assicuro, come dice anche Giancarlo, non tutti allo stesso modo: alcuni felici, altri meno, alcuni attivi ed entusiasti, altri preoccupati, alcuni inermi e passivi, altri arrabbiati. Credo che tenere attiva un po’ di mentalizzazione in terza persona sia la base per ogni tipo di discussione. Non diamo per scontato che questa prospettiva sia vista come positiva per tutti.
Comunque sia, e comunque la si pensi, qualora individuassimo in questo cambiamento, insieme agli innegabili vantaggi, anche alcuni effetti collaterali o addirittura danni nei nostri giovani, io non troverei particolarmente etico adagiarmi sul lassaiz faire.
Se è vero, come è noto, che il GIDS (Gender Identity Development Services) del mitico Tavistock Centre, cesserà presto di operare per decisione governativa, in seguito a una inchiesta indipendente che ne ha denunciato l’inadeguatezza dei servizi offerti e le forti criticità, vuol dire che alcune cose, se ci si mette con serietà e impegno, si possono cambiare. Converrete che questo è un importante segno di un mutamento di rotta. E se le faccende avevano preso una così brutta piega in un servizio come quello, in un contesto culturale come quello britannico, figuriamoci quali livelli di attenzione è utile tenere attivi nella caoticità del nostro contesto culturale, sanitario e normativo.
Nel 2021-22 le richieste alla Tavistock erano balzate dalle 250 degli anni passati, alle oltre 5.000. Lo staff della Tavistock è stato accusato di aver adottato un atteggiamento superficiale con un incoraggiamento indiscriminato verso la prospettiva di una transizione di genere anche di fronte a casi d’incertezza, più o meno fisiologici in adolescenza, rispetto alla propria identità. Tra i casi più problematici emersi, anche quelli relativi a minori con disturbi dello spettro autistico avviati alla riattribuzione di genere. Un approccio che ha suscitato crescenti resistenze nel mondo medico e in quello politico ma anche nei media e in settori del femminismo britannico che contestano la propaganda sull’autodeterminazione di genere (il cosiddetto "self-id").
Interessante che nel giro di pochi anni la disforia di genere abbia subito anche in alcune strutture nostrane un incremento, circola voce, del 315%! Con umile atteggiamento scientifico (quello che dovrebbe informare la vera Scienza basata sul dubbio e non sulla certezza dogmatica), piuttosto che annunciarlo “orgogliosamente” come mi pare stia già accadendo da alcune parti, non sarebbe meglio interrogarci bene sui fattori che hanno portato a questa impennata stile Tavistock? Al di là certo di una migliore accoglienza che facilita l’accettazione e quindi l’accesso, non sarà che si va costruendo anche qui su alcuni gruppi di bambini e di adolescenti una particolare pressione sociale su questo tema (concordo, Federico, che non ci sono dati su questo, ma sai bene che i dati si trovano solo quando uno accetta di interrogarsi su un problema, altrimenti non verranno mai fuori) e, magari anche percorsi d’accesso e diagnostici, non sempre, diciamo, “ortodossi”? Accanto a quelli che tu giustamente sottolinei come “anni di sofferenza clinicamente significativa” in questi percorsi, purtroppo troviamo anche quotidiani riferimenti a percorsi piuttosto raffazzonati e sbrigativi.
Mi pare che l’interesse di tutti sia: guardiamoci bene, avendo come unico obiettivo il benessere di questi ragazzi, soprattutto dei minorenni. E in questo senso, credo che in una società scientifica possa, anzi debba esserci un dibattito non solo sulla valutazione clinica degli interventi ma anche sulla valutazione di come si crea quella popolazione che è portatrice della domanda di cura.
Anche negli Stati Uniti, com’è noto, il campo del conflitto è particolarmente elevato: anche là alcuni Stati hanno emanato restrizioni all’uso dei puberty blocker; curioso poi che negli ultimi anni (volendo shiftare su una questione apparentemente più “leggera”), molti stati abbiano vietato agli studenti transgender di competere in squadre sportive scolastiche che non si allineano con il “sesso loro assegnato alla nascita”, ovviamente con grande sollievo delle e degli atleti “allineati”, laddove in precedenza nessuno si azzardava neppure a riconoscerlo come un problema da affrontare e da normare. Perché oggettivamente lo e si dovrebbe poterne parlare con tranquillità.
Voglio dire, insomma, caro Simone che quando agli umani è consentito di discutere, di uscire da una prospettiva ideologica che è data aprioristicamente per vera e scontata e di riattivare un minimo di coscienza critica, eventuali storture possono essere riconosciute e cambiate. Mi pare del tutto comprensibile, come tu dici, che ai millennial suoni ormai usuale tutto ciò che a noi invece suona un po’ strano. Ma il fatto che lo trovino usuale, ti garantisco, non significa che tutti lo trovino giusto. Se proprio nelle nazioni in cui ci sono state le maggiori “fughe in avanti” sulla questione transgender, si stanno registrando i maggiori ripensamenti, vuol dire che chi ha sperimentato alcune particolari conseguenze di tali “progressi” si è accorto di alcuni effetti collaterali e sta cercando di porvi rimedio. E lo si può fare con equilibrio e senza estremismi. Perché noi dovremmo “lasciar fare”?
E poi, forse proprio perché non siamo più giovani, penso che potremmo offrire il modesto contributo della nostra storia, ma soprattutto di quella non poca esperienza che abbiamo messo insieme in decenni di attività clinica. Per quella che è la mia visione culturale e professionale (del tutto personale e parziale ovviamente), devo dirvi sinceramente che nutro molti dubbi su ciò che sta accadendo nella nostra “contemporaneità”, come la definisce Laura. Capisco bene “che si stanno cercando modi e spazi per consentire a ogni identità di avere diritto di esistenza, attraverso linguaggi inclusivi in cui ogni identità debba essere considerata una delle opzioni del possibile”. Ma se a questa buona intenzione non poni adeguati limiti nelle sue derive più estreme, io credo che assisteremo a drammatiche ricadute sul piano evolutivo e identitario. Se non recuperiamo alcuni paletti alla tendenza estrema del “va bene tutto”, dovremo fare i conti con una generazione iper-liquida, ultra-gassosa sul piano personologico, senza più alcun argine identitario, con risvolti e sviluppi psicopatologici che in realtà già vediamo ampiamente nei nostri studi e che anzi dovremmo avere un po’ più il coraggio di dichiarare.
Venendo ai dati. Riconosci, Simone (e Giancarlo chiosa) che sui puberty blockers i dati scientifici soprattutto a lungo termine sono ancora pochi e metodologicamente deboli. Solo questo dovrebbe essere sufficiente a mantenere un atteggiamento prudenziale e lavorare per assicurarci che i percorsi psicologici e medici in questo ambito siano più che attenti e non connotati da incoraggiamento indiscriminato come è accaduto in Inghilterra.
Andrebbero meglio osservati e compresi anche i cosiddetti “detransitioner”, giovani che hanno portato avanti queste procedure e che si sono poi “pentiti”, studiandone attentamente le conseguenze sul piano fisico e psicologico. Ma soprattutto sarebbe interessante capire, tra questi, quanti sono certo quelli “overt”, che arrivano cioè a comprenderlo e ad esplicitarlo in modo chiaro, ma anche quanti sono quelli “covert”, che evolvono con scarsa consapevolezza e nella dolorosa confusione del loro stato.
Sulla maggiore incidenza di disturbi di ansia, sonno e depressione, nonché di suicidalità tra i transgender rispetto ai cisgender (altra parola che dovremmo cercare di capire meglio), credo che non ci siano dubbi. Ma, vivaddio, non saremo noi così ottusi da non ragionare sul significato clinico da attribuire a questo dato. Il tormentone interpretativo è che ciò sia “frutto del ricorrente stigma nei confronti dei transgender”, lettura in parte condivisibile. Ma, come già abbiamo ribadito in tanti, in quanti casi quei sintomi sono invece l’espressione, insieme alla ovvia “gassosità” sul piano sessuale, di disturbi di personalità talmente evidenti da lasciare sbigottiti? Sarebbe bello che i fondi del PNNR (andate a vedere quanti milioni sono dedicati a “progetti” su questa area) fossero dedicati a ricerche cliniche sufficientemente complesse atte a chiarire tali quesiti psicopatologici, piuttosto che a promuovere semplicemente asterischi o “carriere alias” nelle scuole.
Per non parlare poi dei già citati Disturbi dello Spettro Autistico, che quasi per la metà rappresentavano la popolazione in accesso al GIDS (il 35% da moderato a grave e il 13% con manifestazioni lievi). Vogliamo benevolmente immaginare in alcuni casi una co-occorrenza delle due diagnosi? Va bene, anche perché a trovare problemi di “genere” in un ragazzino autistico ad alto funzionamento ci potremmo mettere un attimo. Ma vogliamo anche riconoscere, più banalmente, che nel caso Tavistock alcune istituzioni come Mermaids, Stonewell e Gender Intelligence (ovviamente con tutte le loro buone intenzioni) possono avere "un tantino" forzato verso la diagnosi di DG molti di questi soggetti, perché i bambini con ASD (poverini!) potrebbero avere più difficoltà a esprimere i propri sentimenti riguardo al genere. Ci terrei molto a riflettere insieme su questi aspetti, perché sempre sull’onda di questo trend culturale, diverse associazioni di genitori di bambini con ASD hanno cominciato a parlare di “neurodiversità” e non di patologia per i loro figli, per cui come potete immaginare questa è un’area in cui qualunque pressione ideologica può finire presto per invadere e colonizzare la “neurodiversità”.
Come vedete, su questo ambito non è facilissimo (anzi a volte non è proprio possibile) tenere del tutto separate le questioni ideologiche da quelle cliniche, scientifiche e dai dati di ricerca. E allora che fai, non parli? Per fortuna qui stiamo riuscendo a farlo.
Giancarlo, per rispondere alla tua proposta, io credo che il fatto che non ci siano dati esaustivi su questo ambito, non significa, come mostra questo dibattito, che come Società Scientifica non abbiamo niente da dire e quindi dare il nostro contributo prendendo una posizione equilibrata che riassuma il nostro punto di vista al riguardo, le nostre preoccupazioni e alcune indicazioni in termini di attenzione nella costruzione dei percorsi di cura. Immagino, però, che una iniziativa del genere dovrebbe necessariamente passare attraverso il Direttivo e il Presidente SITCC e la costituzione ufficiale di un gruppo di lavoro che se ne occupi in modo aperto e collaborativo.
Ma soprattutto, penso alla nostra storia e ai nostri maestri, penso a ciò che ci ha sempre caratterizzato come prospettiva scientifica, unitamente al rigore scientifico e alla competenza metodologica e tecnica: cioè la capacità di introdurre il pensiero laddove potrebbe esserci il fare compulsivo, compreso l’agito sul corpo; la capacità di stare insieme al nostro paziente in un’ottica di condivisione emotiva, piuttosto che colludere con l’evitamento esperenziale; la capacità di promuovere la “sospensione dell’azione” per lasciar spazio all’elaborazione e all’attivazione dell’autoriflessività, l’unica preziosa risorsa da cui solo possono discendere scelte meditate e consapevoli.
Grazie per questa preziosa occasione.
Cari saluti a tutti
Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
Grazie per il dibattito, acceso e rispettoso.
Grazie per l’ultima email: non so chi sia l’autore perché non riesco a leggerlo, ma se fosse il manifesto sul tema, lo sottoscriverei paragrafo per paragrafo!!!
Buona notte a tutti
Nino
Grazie per l’ultima email: non so chi sia l’autore perché non riesco a leggerlo, ma se fosse il manifesto sul tema, lo sottoscriverei paragrafo per paragrafo!!!
Buona notte a tutti
Nino
Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
Scusate era la mia
Furio
Furio
Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
Grazie Giancarlo per la coraggiosa partenza, grazie Furio per aver dato parola a quello che negli ultimi anni ho visto in studio (e fuori) sempre più spesso e grazie all' "anonimo" che chiude magistralmente.
La mia esperienza se pure ventennale come terapeuta non mi legittima certo ad espormi su un piano teorico che lascio ai didatti, ma ho seguito diversi giovani adulti in corso di transizione M to F e F to M e onestamente non saprei proprio come poter fare lo stesso lavoro così complesso, con un adolescente! Se poi esistono esperti in merito sono disposta a tornare "a bottega", come direbbe Guidano.
Un caro saluto
Medena
La mia esperienza se pure ventennale come terapeuta non mi legittima certo ad espormi su un piano teorico che lascio ai didatti, ma ho seguito diversi giovani adulti in corso di transizione M to F e F to M e onestamente non saprei proprio come poter fare lo stesso lavoro così complesso, con un adolescente! Se poi esistono esperti in merito sono disposta a tornare "a bottega", come direbbe Guidano.
Un caro saluto
Medena
Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
Io sottoscrivo Nino che sottoscrive Furio,
Giancarlo
Giancarlo
Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
Ritorno al tema. Quello che la lettera della SPI mette in discussione è l'uso dei Puberty Blokers in preadolescenza ( lo stadio 2 di Tanners corrisponde nella femmina alla comparsa del bottone mammario e nel maschio alla dimensione testicolare di maggiore di 4 ml, cioè meno di un cucchiaino da caffè). Praticamente dei bambini. Le discussioni su identità di genere, disforia di genere etc sono articolazioni del discorso di molto interesse, ma ancora scarsa perspicuità. In fondo a tutto e del tutto nascosta dalla fumea è il dramma dell'attuale età adolescenziale (Autolesionismo, guerra per bande suicidi e tentati suicidi) in cui la questione della disforia di genere e della incongruità di genere vale per un millesimo. Tra parentesi mi chiedo come potrebbe avere una disforia di genere un soggetto che non abbia anche una incongruità.
Insisto: Le questioni sono tre:
La manipolazione dei corpi
Il livello di certezza che garantisca la non nocività di trattamenti sanitari
il drammatico aumento della infelicità e della disperazione degli adolescenti
State bene
Angelo Inverso
Insisto: Le questioni sono tre:
La manipolazione dei corpi
Il livello di certezza che garantisca la non nocività di trattamenti sanitari
il drammatico aumento della infelicità e della disperazione degli adolescenti
State bene
Angelo Inverso
Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
Scusate, non voglio negare l'importanza di tanta circospezione scientifica davanti al fenomeno, ma qui sembra che non si sia mai sentito parlare degli effetti che, ad esempio, la campagna mediatica & sanitaria sulla Dislessia e fenomeni ad essa associati ha avuto sulla scuola nel suo complesso e sulla società in genere; nonché sugli effetti devastanti che le leggi promosse a riguardo hanno prodotto su quanto era rimasto della psicopedagogia scolastica a partire da circa un decennio fa! Non credo si debbano avere troppe remore a convincersi, al di là dei sacrosanti dati clinici e della necessità di approfondire le ricerche, che gli effetti collaterali di tipo psico-sociale evidenziati un po' timidamente da molti interventi che mi hanno preceduto, sono cosa certa, certissima, che però non è facilmente dimostrabile con ricerche epidemiologiche, ma con uno sguardo epistemico aperto a una dimensione psicosociologica. Non tutto è medicina, occorre allargare il campo!
Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
Carissime colleghe e colleghi,
visto il dibattito in corso e in risposta ad alcune/i di voi che chiedevano, proponevano, l’apertura di un gruppo d’interesse vi segnaliamo l’esistenza del gruppo di lavoro sul tema delle dinamiche di genere e delle identità sessuali, che abbiamo chiamato Genera17, nato a fine 2021: l’intento è approfondire quest’area di grande significatività, affinché possa diventare oggetto di riflessione per le sue implicazioni cliniche e di ricerca e tradursi in una maggiore condivisione di esperienze e conoscenze scientifiche e cliniche. Contemporaneamente è necessario esplorare come questi temi vengano regolamentati e affrontati nei diversi contesti sociali, istituzionali e associativi, per trarne degli spunti da proporre come possibili evoluzioni dei regolamenti e delle prassi fin qui in uso all'interno della SITCC.
E’ necessario un aggiornamento culturale che ci tenga al passo con i tempi sull’urgenza, attualità e importanza di questi temi, che sia il frutto di una condivisione, studio e confronto aperto.
A tal proposito informiamo che ci sarà un incontro aperto a chi ne fosse interessato il 6 Febbraio alle 21.30 su Zoom: per partecipare basta inviare una mail a genera.diciassette@gmail.com e verrà inviato il link per connettersi
Riportiamo contestualmente di seguito la email di presentazione di Genera17 all’interno della mailing list SITCC, datata 1 luglio 2022.
Care colleghe e colleghi,
sono trascorsi molti mesi dall’ultimo congresso SITCC di Bologna, al quale ha fatto seguito un breve dibattito sulla mailing list riguardante la questione di genere. Si era osservata la carenza di studi inerenti alle prospettive di genere, l’esigenza di ricerca e formazione attraverso un approccio interdisciplinare e un'ottica intersezionale, su temi quali la violenza domestica e la discriminazione di genere.
In quell’occasione si è formato spontaneamente un primo gruppo che si è incontrato da remoto per individuare temi e obiettivi e organizzare il lavoro in gruppi di approfondimento degli argomenti.
Pensiamo che l’inclusione e l’accoglienza non riguardino soltanto la questione femminile, ma che si estendano alle diversità in senso più ampio e che influenzino i modelli di cura.
La nostra intenzione è quella di generare un’ampia riflessione su questi temi con l’idea di arrivare a delle sintesi da proporre in diverse forme, anche in occasione dei prossimi appuntamenti congressuali SITCC.
Vogliamo pertanto proporre un gruppo di interesse sui seguenti temi.
1) Psicopatologia e Patriarcato.
La cultura patriarcale ha influito sulle espressioni della psicopatologia e sulla loro lettura? Se sì, come? Quali potrebbero essere le ricadute in ambito clinico?
2) Approfondimento sugli aspetti clinici, culturali e bio-psico-sociali delle identità sessuali: de-costruzione degli stereotipi di genere e valorizzazione delle differenze.
Sperando di incontrare gli interessi di socie e soci di seguito il contatto a cui riferirsi per chi fosse interessat* a conoscere e/o partecipare ai gruppi:
scrivere a genera.diciassette@gmail.com
Carla Barile, Chiara Bellardi, Laura Belloni Sonzogni, Paola Cimbolli, Giovanna De Lucia, Monica De Marchis, Antonella Ivaldi, Chiara Lora, Federica Mansutti, Silvia Moreddu, Lisa Reano, Monica Reynaudo, Martina Stagi, Giulia Tirelli, Annalisa Suman, Luana De Vita, Ilaria Mucci, Maria Cristina Banfi,
visto il dibattito in corso e in risposta ad alcune/i di voi che chiedevano, proponevano, l’apertura di un gruppo d’interesse vi segnaliamo l’esistenza del gruppo di lavoro sul tema delle dinamiche di genere e delle identità sessuali, che abbiamo chiamato Genera17, nato a fine 2021: l’intento è approfondire quest’area di grande significatività, affinché possa diventare oggetto di riflessione per le sue implicazioni cliniche e di ricerca e tradursi in una maggiore condivisione di esperienze e conoscenze scientifiche e cliniche. Contemporaneamente è necessario esplorare come questi temi vengano regolamentati e affrontati nei diversi contesti sociali, istituzionali e associativi, per trarne degli spunti da proporre come possibili evoluzioni dei regolamenti e delle prassi fin qui in uso all'interno della SITCC.
E’ necessario un aggiornamento culturale che ci tenga al passo con i tempi sull’urgenza, attualità e importanza di questi temi, che sia il frutto di una condivisione, studio e confronto aperto.
A tal proposito informiamo che ci sarà un incontro aperto a chi ne fosse interessato il 6 Febbraio alle 21.30 su Zoom: per partecipare basta inviare una mail a genera.diciassette@gmail.com e verrà inviato il link per connettersi
Riportiamo contestualmente di seguito la email di presentazione di Genera17 all’interno della mailing list SITCC, datata 1 luglio 2022.
Care colleghe e colleghi,
sono trascorsi molti mesi dall’ultimo congresso SITCC di Bologna, al quale ha fatto seguito un breve dibattito sulla mailing list riguardante la questione di genere. Si era osservata la carenza di studi inerenti alle prospettive di genere, l’esigenza di ricerca e formazione attraverso un approccio interdisciplinare e un'ottica intersezionale, su temi quali la violenza domestica e la discriminazione di genere.
In quell’occasione si è formato spontaneamente un primo gruppo che si è incontrato da remoto per individuare temi e obiettivi e organizzare il lavoro in gruppi di approfondimento degli argomenti.
Pensiamo che l’inclusione e l’accoglienza non riguardino soltanto la questione femminile, ma che si estendano alle diversità in senso più ampio e che influenzino i modelli di cura.
La nostra intenzione è quella di generare un’ampia riflessione su questi temi con l’idea di arrivare a delle sintesi da proporre in diverse forme, anche in occasione dei prossimi appuntamenti congressuali SITCC.
Vogliamo pertanto proporre un gruppo di interesse sui seguenti temi.
1) Psicopatologia e Patriarcato.
La cultura patriarcale ha influito sulle espressioni della psicopatologia e sulla loro lettura? Se sì, come? Quali potrebbero essere le ricadute in ambito clinico?
2) Approfondimento sugli aspetti clinici, culturali e bio-psico-sociali delle identità sessuali: de-costruzione degli stereotipi di genere e valorizzazione delle differenze.
Sperando di incontrare gli interessi di socie e soci di seguito il contatto a cui riferirsi per chi fosse interessat* a conoscere e/o partecipare ai gruppi:
scrivere a genera.diciassette@gmail.com
Carla Barile, Chiara Bellardi, Laura Belloni Sonzogni, Paola Cimbolli, Giovanna De Lucia, Monica De Marchis, Antonella Ivaldi, Chiara Lora, Federica Mansutti, Silvia Moreddu, Lisa Reano, Monica Reynaudo, Martina Stagi, Giulia Tirelli, Annalisa Suman, Luana De Vita, Ilaria Mucci, Maria Cristina Banfi,
Re: Puberty blockers e la lettera della SPI a Meloni
... per niente banale la seguente riflessione del collega Leone "qui sembra che non si sia mai sentito parlare degli effetti che, ad esempio, la campagna mediatica & sanitaria sulla Dislessia e fenomeni ad essa associati ha avuto sulla scuola nel suo complesso e sulla società in genere; nonché sugli effetti devastanti che le leggi promosse a riguardo hanno prodotto su quanto era rimasto della psicopedagogia scolastica a partire da circa un decennio fa!"
Meditate Gente (che si occupa di evolutiva e intervento nell'ambitp o scolastico), meditate!!
State bene
Angelo Inverso
Meditate Gente (che si occupa di evolutiva e intervento nell'ambitp o scolastico), meditate!!
State bene
Angelo Inverso