recensione de Semerari: La relazione terapeutica

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BRUNO BARA [13]
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recensione de Semerari: La relazione terapeutica

Messaggio da BRUNO BARA [13] »

Car collegh,
approfitto della mia prima settimana di vacanza in un’estate piena di imprevisti, famiglia riunita, emergenze varie, vespe psicotiche, meduse killer, per dedicarmi a recensire il libro più importante del 2022, La relazione terapeutica: Storia, teoria e problemi, di Antonio Semerari.
E’ un libro di studio, da consultazione, di lettura impegnativa, indispensabile nella libreria di ciascun terapeuta. Rappresenta il testo base per iniziare a capire qualcosa dell’oggetto misterioso per antonomasia, appunto la relazione fra psicoterapeuta e paziente. Semerari ha svolto il lavoro che considero più faticoso, raccontare senza pregiudizi quel che su questo argomento hanno detto gli autori fondamentali, quelli che ciascuno conosce di nome ma non ha mai avuto la voglia di leggere, oppure ci ha provato ma non ce l’ha fatta. La bussola che introduce all’inizio e che è indispensabile per riuscire a inquadrare scientificamente i vari contributi storici è quella della tripartizione fra Teoria dei fatti, Teoria della cura e Teoria della Tecnica. Un autore che esplicita i propri criteri metodologici è merce rara, fin da subito si apprezza la sua qualità intellettuale.
La prima parte del libro, dedicata a magnetismo e suggestione, è ricca di sorprese per i collegamenti folgoranti con numerose tecniche sul mercato, pronte a vendere ai più impazienti fra i pazienti la promessa di immediato miglioramento, e peggio per loro se la meraviglia non dura. Si comincia a fare sul serio con Janet e Freud, per poi inquadrare gli analisti relazionali come Klein e Alexander (per me il top della difficoltà), e gli Americani poco rispettosi come Sullivan e Rogers (questi mi sembrava di averli capiti, ma il libro me li ha fatti rileggere in altro modo). Semerari ci spiega il passato remoto grazie alla sua capacità di comprendere fino in fondo autori da noi molto distanti culturalmente, che pure sono stati capaci di intuizioni fondamentali (come anche di spettacolari sbandate intellettuali). La sensazione è che alcuni di loro, per il mio gusto Freud e Rogers, abbiano espresso i concetti fondamentali che i contemporanei riformulano con un linguaggio più vicino alla sensibilità culturale e scientifica attuale.
Poi arrivano naturalmente i cognitivisti, Beck (che per la verità si è ben guardato dall’entrare seriamente in tema) e i pionieri Safran, Segal e Muran: a questi si è recentemente aggiunta la Eubanks, ma Semerari non ha fatto in tempo a leggerla. Oddio, magari ha anche letto Muran & Eubanks (in fondo è uscito nel 2020) e ha deciso che non valeva la pena, proprio impossibile trovarci qualcosa di nuovo, uno yoghurt scaduto. Pionieri comunque benemeriti, capaci di intercettare le novità della scienza cognitiva rispetto alla psicologia cognitiva, preziosi dal 1990 al 2000, poi autocondannati a ripetersi fino ai giorni nostri, come i Suv della BMW, che da vent’anni rimangono identici, a parte un faro qui e un fregio là. L’autore spiega loro e soprattutto i successori (Leahy, Semerari e Bara) facendo emergere gli incroci intellettuali tramite i quali il tema della relazione terapeutica si arricchisce grazie a Bowlby e ai neuroscienziati (oh yes, hard science, altro che fattori comuni!), che mettono le basi delle formulazioni contemporanee. I collegamenti fra clinica e scienza sono inusualmente profondi, si capisce bene che Livia Colle (scienziata cognitiva di valore prima che moglie di Antonio) qualche suggerimento lo ha dato.
Di sfuggita arrivano anche le intuizioni di Guidano e Liotti, che hanno reso unico il panorama italiano integrando il cognitivismo con il costruttivismo. L’obiettivo dell’autore è quello di comprendere il senso dei contributi dei vari teorici, senza necessariamente prendere posizione rispetto alle varie affermazioni. Arrivando al presente lo stesso stile che mi ha fatto apprezzare i primi capitoli diventa per me troppo asettico, sono un uomo di parte e avrei preferito una presa di posizione esplicita su alcune posizioni teoriche capaci di coniugare l’ignoranza con l’insensatezza. Ho da tempo deciso di non nominare nemmeno gli autori teoricamente più impalpabili, e quindi rimando il lettore alle pagine 207-223 per uno sciocchezzario misto sul tema della relazione.
L’ultima parte del libro vede salire in scena direttamente Semerari, che gioca nel suo campo preferito, la relazione col paziente difficile. Già il termine difficile mi suona stonato: grave sicuramente, pericoloso a sé e agli altri magari, faticoso per il terapeuta anche, ma difficile? Difficili in terapia sono per me le situazioni in cui il paziente attiva mie modalità di funzionamento impedendomi di vedere chiaramente quel che accade. Un padre separato in difficoltà con i figli adolescenti per me è difficile, un tossicodipendente incerto se rapinare me o la nonna è socialmente impegnativo, ma la sua mente la leggo senza alcuna difficoltà. Sono però consapevole della mia insufficiente competenza in materia, e accetto la proposta dell’autore di considerare come ambiti separati la relazione col paziente nevrotico e quella col paziente grave. Mi riserverei però di approfondire il tema in altre sedi, rivendicando i principi base della relazione come comuni a qualunque psicoterapia.
Semerari parla del Terzo Centro ovviamente, ma anche di tutti gli autori rilevanti per le patologie gravi, sempre con il rispetto e il rigore intellettuale che lo contraddistinguono e che me lo fanno ammirare come persona, non solo come collega. I pazienti narcisisti la fanno da padroni, Kohut e Kernberg conducono le danze, se non avete mai ben capito cosa dicono Bateman e Fonagy questo è il vostro capitolo (della ottima Linehan non è possibile comprendere tutto con precisione, cambia idea troppo rapidamente). Si chiude ripercorrendo la distinzione cara all’autore, che è stata una guida di grande utilità: quella già menzionata fra Teoria dei fatti, Teoria della cura e Teoria della tecnica. Questa tripartizione guida l’intera organizzazione del libro, permettendo di inquadrare ogni contributo al livello migliore per poterlo comprendere. Grande generosità da parte dell’autore, ha scritto 400 pagine per aiutarci a capire cosa è stato detto sul tema della relazione terapeutica, non per spiegare solo le proprie idee ma per comprendere quel che dicono anche gli altri.
Ho due copie del libro, una a Milano e una a Imperia, perché è per me di consultazione continua. L’unico altro autore italiano di cui ho le opere nelle due mie librerie è Vittorio Guidano, tanto per darvi l’idea. La relazione è terreno minato, troppo facile banalizzarla o considerarla non passibile di approccio scientifico rigoroso: questo volume rende impossibili entrambe le mosse, costringe tutti a studiare prima di parlare. I negazionisti continueranno a fare (male) il loro mestiere di terapeuti e di insegnanti, ma dovranno impegnarsi di più a proteggere la loro ignoranza. Indispensabile mi sembra il termine maggiormente adeguato per descrivere il libro, e grata ammirazione per descrivere il mio stato emotivo. Sa fare tante cose molto bene Semerari: il terapeuta, il teorico, lo scrittore, lo studioso, che fortuna averlo fra noi.
Chiudo con una preghiera al Presidente e a tutto il Direttivo: diamo un premio per la migliore opera 2022 ad Antonio, rompendo la tradizione stitica della Sitcc, malmostosa e riluttante a riconoscere la gran qualità dei suoi membri. Anzi, se il premio non glielo dà la Sitcc, al congresso di Bari 2023 glielo dò io.
State bene, car collegh, e impegnatevi a godere gli ultimi giorni di vacanza.
Bruno Bara